Outcast: Recensione dell'episodio pilota. Venite a prendermi

Autore: Chiara Poli ,

Il tema della possessione demoniaca, introdotto con la terrificante sequenza iniziale su Joshua, il ragazzino trasformato in un mostro dall’essere che lo controlla, si nutre sempre degli stessi elementi: comportamenti inspiegabili, dolore, sangue, orrore.

#Outcast pesca a piene mani da una lunga tradizione letteraria e cinematografica, mentre l’urlo della madre di Joshua coincide col nostro: siamo ufficialmente all’inferno.

Outcast: Joshua nell'episodio pilota
Outcast: il piccolo Joshua nell'episodio pilota

Lo conferma il cartello “Rome”, che ci accoglie per definire i confini di quell’inferno.

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Di un mondo oscuro, in cui il reverendo Anderson e lo sceriffo Giles giocano a carte, fumano e bevono, per chiarire subito la premessa fondamentale: sono uomini.

Vittime di vizi e tentazioni, come tutti gli altri. Eppure in qualche modo indossano una “divisa” che li rende diversi dagli altri, che assegna loro un ruolo preciso in questa storia, fin dal principio.

Con pochi tratti, Kirkman ci introduce nel suo nuovo mondo.

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Ci vogliono meno di 10 minuti: il ragazzino posseduto, gli uomini “umani” e i loro ruoli, le parole di Betsy (la mamma di Joshua cita altri casi di possessione: sappiamo che a Rome è già successo e che il reverendo Anderson se n’è occupato).

E poi, naturalmente, c’è lui: Kyle.

Outcast: Kyle
Outcast: Kyle Barnes nella sua casa

Un uomo adulto che vive nella sua stanza da bambino (col poster di X-Files e i giocattoli negli scatoloni). Le stoviglie sporche, accumulate in cucina, fanno compagnia al caos e alla trasandatezza di tutto l’ambiente.

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Sembra una casa abbandonata, invece ci vive qualcuno.  Qualcuno che cerca di ignorare sua sorella (sorellastra, per la precisione), Megan, che cerca di prendersi cura di lui.

Ma Kyle Barnes non vuole essere aiutato. Vuole solo sopravvivere, isolato dal resto del mondo.

Kyle Barnes vuole punire se stesso.

I flashback con i suoi ricordi ci dicono che il suo passato è oscuro, che il male lo perseguita da quando era solo un ragazzino spaventato, costretto a vivere col mostro che abitava il corpo di sua madre.

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Un mostro a cui non tutti credevano.

Outcast: Kyle bambino insieme alla madre
Outcast: Kyle e sua madre in un terrificante flashback

Il tema di questo primo episodio è proprio questo: la fede.

Fede negli altri, fede nel fatto che il tuo Dio possa aiutarti a sconfiggere il male. Fede nelle parole di chi prova a chiedere aiuto, vedendosi spesso sbattere la porta in faccia.

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Ma non quando si chiede l’aiuto del reverendo Anderson. E non quando Kyle Barnes, finalmente, decide di uscire dal suo guscio e affrontare i suoi demoni.

Letteralmente. In una cittadina in cui tutti sanno chi sei e cos’hai fatto. O cosa pensano che tu abbia fatto.

Outcast: Kyle Barnes e Joshua Austin
Outcast: Joshua aggredisce Kyle nell'episodio pilota

Mentre la violenza dell’esorcismo richiama l’immaginario collettivo sull’argomento, da L’esorcista in poi, succede qualcosa.

Kyle Barnes si lascia scuotere e decide di affiancare il reverendo Anderson nella lotta ai demoni.

Per scoprire perché “lo conoscono”. Perché lo chiamano “reietto”. Perché qualcosa, dentro di lui, ha il potere di fermarli. Perché tutte le persone che ha amato sono state in qualche modo toccate dal male.

Le risposte arriveranno. Per seguire le premesse stabilite in modo grandioso da questo primo, inquietante, equilibrato, perfetto episodio pilota.

Nel prossimo episodio di Outcast...

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