Robert Kirkman ha dichiarato che #Outcast è molto più spaventoso di #The Walking Dead.
Io sono d’accordo, sebbene questo secondo episodio sia stato molto più commovente che spaventoso.
Per un motivo: accrescere il nostro legame emotivo con il protagonista.
Mentre la sigla ci mostra un mondo rovesciato, ammiccando alla croce rovesciata (uno dei simboli più diffusi della possessione demoniaca e del maligno in genere), ci addentriamo nel mondo di Kyle Barnes.
Con il dettaglio del suo occhio - una citazione che non sfugge, da Blade Runner a Lost - Kyle ci guida fra i suoi ricordi.
Veniamo catapultati nel bel mezzo del suo passato, in un ricordo felice che termina in tragedia: il momento in cui sua madre, Sarah, viene posseduta da un demone che la trasforma in un mostro.
Subito dopo ci vengono mostrati il volto di Kyle e quello del reverendo Anderson: i due protagonisti della lotta contro il male.
La chiesa è l’unica cosa che ci fortifica, che ci sostiene e ci protegge dall’oscurità
afferma Anderson.
L’impostazione religiosa di Outcast è chiarissima: se #Kyle vuole credere (come ci ricorda continuamente il poster di X-Files), Anderson sa già che la fede è l’unica arma contro il demonio.
Non a caso il dialogo più importante fra lui e Kyle si svolge in chiesa. Nella sua chiesa. Una chiesa che, per colori e disposizione, ricorda molto quella di padre Gabriel in The Walking Dead. Scritte sulla facciata incluse.
Il senso di colpa di Kyle per ciò che è successo a sua madre, e il suo tentativo - fallito - di porvi rimedio, si contrappongono a ciò che la gente di Rome pensa di Kyle.
Molti pensano che porti guai, e che abbia fatto del male alla sua bambina.
Noi però conosciamo la verità e siamo con lui, già dal primo momento. Proprio come eravamo con Rick Grimes in ospedale, fin dal suo risveglio.
Ma se seguivamo Rick alla scoperta di un mondo nuovo e terrificante, con Kyle è diverso: lui ha già un vissuto nell’orrore, nel mondo spaventoso di Rome.
Deve solo scoprire perché, suo malgrado, ne è protagonista.
Chiunque ami finisce per essere posseduto. Kyle lo sa da molto tempo, ma ora non è più disposto ad accettarlo.
Il tentato esorcismo di sua madre serve a questo, a fargli capire che ogni esorcismo è diverso perché lo è anche ogni anima posseduta.
La bici di quando era bambino, arrugginita e inglobata dall’albero fuori casa, è la metafora della sua vita: oscura e inglobata dall’orrore, dal male, dalla violenza.
I flash del passato riemergono sempre più prepotentemente perché il momento di affrontarlo è sempre più vicino.
E mentre noi conosciamo Allison e Amber, il capo Giles mostra di avere fede mentre l’agente Mark Holter non ne ha.
Kyle crede nel soprannaturale, Megan no.
Giles crede nella possessione, Mark no.
E noi?
Questo vuole sapere il secondo episodio di Outcast: fino a dove siamo disposti a sospendere l’incredulità per seguirlo nella strada verso il male e la speranza. Quanto siamo disposti a credere.
Quanto siamo pronti per un mondo in cui i demoni mentono, ingannano, giocano con i simboli cristiani.
Ci terrorizzano e ci affascinano perché vogliamo saperne di più.
Vogliamo.
E Outcast, in soli due episodi, ha già raggiunto il suo scopo.
Nel prossimo episodio di Outcast
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