La prima stagione di #Outcast ha ingranato, su questo non ci sono dubbi. Anche i più scettici, ora, dovranno ammettere che, una volta approfondita la mitologia della serie, le cose si fanno davvero interessanti.
E volutamente irrisolte. Il dubbio regna sovrano, nelle mani degli sceneggiatori.
Il dubbio su Allison e Amber, ma soprattutto il dubbio del #reverendo Anderson su tutti gli esorcismi fatti finora.
Il lavoro di anni è stato gettato al vento, dopo quanto scoperto nell’ultimo episodio.
Demoni bugiardi, ospiti di inermi esseri umani che ingannano, tradiscono, preparano agguati e trappole, sono i veri vincitori.
Tutti i casi trattati dal reverendo Anderson sono dei fallimenti. Tutti.
Riguardare ossessivamente i video, in cerca di qualcosa che non troverà mai - una rassicurazione - serve solo a peggiorare la situazione.
Non ha mai aiutato le persone che credeva di avere salvato.
Non è una rivelazione indifferente, per un uomo che ha costruito tutta la sua vita sulla fede in qualcosa che non si vede.
Il reverendo Anderson è un uomo distrutto, senza più uno scopo. Lo dimostra il trattamento riservato a Patricia.
Mi aspettavo che anche #Kyle fosse sconvolto, che corresse a verificare che non fosse Amber, quella indemoniata. Mi sbagliavo: evidentemente, non si sogna nemmeno di pensare che la sua bambina sia posseduta.
Anzi: Kyle Barnes sta bene. Lavora - proprio come suo cognato, che continua a indagare sul camper incendiato e sulle carcasse degli animali - e manda i soldi ad Allison, che glieli fa restituire da Megan (messaggio palese: non voglio che tu ci dia nulla, così non potrai avanzare pretese).
Anche Anderson lavora. Cerca una soluzione, arrivando a pensare che il suo sangue possa essere come quello di Kyle. Con il quale, come avevamo già anticipato tempo fa, è entrato in competizione.
C’è da capirlo, in fondo: una vita di sacrifici e di rischi, poi arriva il primo ragazzino emarginato e zac! Tutta la tua vita perde senso.
Se, fin qui, il percorso di Kyle e Anderson è stato in qualche modo parallelo, ora i due percorrono strade opposte: Kyle cerca di rimettere insieme i pezzi della sua vita, ha degli obiettivi. Anderson, invece, si sta lasciando andare. Sta sprofondando nel baratro da cui Kyle è appena uscito.
Kyle vorrebbe la vita normale che non ha mai avuto, e non vuole più ridurre nessuno come sua madre.
Anderson, invece, vorrebbe continuare ad affrontare l’orrore: la normalità, per lui, è paragonabile a una vita insignificante.
Ma la vita, si sa, non va mai come vorremmo.
E quando Mildred aggredisce Kyle, non c’è nessuno a salvarlo. Almeno, non qualcuno che gli vuole bene.
Perché la particolarità di Outcast è che le cose vanno proprio come nella realtà: contro le aspettative, contro il lieto fine da film, contro la ragionevolezza.
Tutto è verosimile: il figlio adolescente che ti tratta a pesci in faccia, il misterioso forestiero che cerca di conquistare la tua fiducia per fregarti, l’amico che ti nasconde dei segreti, l’uomo che ti ha rovinato la vita e che ti chiama per dirti che è stato tuo marito, un poliziotto, a pestarlo a sangue.
Così, quando Anderson deve raccontare al capo Giles di Mildred, e dei suoi esorcismi falliti, tutto diventa reale, vero, tangibile. E ancora più difficile da accettare.
Se i peccati di Anderson sono la sete di potere, l’invidia e l’orgoglio, quello di Kyle è la paura.
Lo è stato a lungo, ma ora non lo è più. Ora Kyle Barnes sa bene cosa deve fare: correre il rischio.
Aiutare quanta più gente possibile, pur riducendola in stato vegetativo, perché potrebbe anche andare diversamente, com’è successo con Caleb (disgraziatamente lucido, e convinto che la possessione non fosse poi così male…).
Sì, Kyle sa cosa deve fare. Combattere il diavolo, riconquistare la fiducia di Anderson, indovinare chi ha scacciato il demonio dal corpo di Mildred, rendendola un vegetale. E farlo in fretta, visto che è stato proprio lui, il Diavolo in persona , a marchiare il reverendo Anderson…
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