Okja, la recensione: ecco la favola ambientalista di Cannes 70

Autore: Elisa Giudici ,

Salutato ora come l'ET ambientalista ora come il film più miyazakiano partorito al di fuori del Sol Levante, Okja è finalmente arrivato sui piccoli schermi degli abbonati Netflix. Brandendo il telecomando ricordate il trambusto che ha causato a Cannes, mentre per le prima volta nella storia lunga 70 anni del Festival un film arriva sulle televisioni di mezzo mondo senza passare per le sale cinematografiche. 

Il destino però non manca mai d'ironia e ecco che quindi che a colpire e in negativo di Okja è la mancanza di un respiro cinematografico vero e proprio, con tanti componenti anche preziosi (in primis una parata di star hollywoodiane di tutto rispetto) che non riescono mai ad amalgamarsi in un composto. Non importa se Jake Gyllenhaal fa lo strambo dottore sadico o attori amatissimi come Lily Collins e Steven Yeun di The Walking Dead interpretano uno scapestrato gruppo di terroristi ambientalisti: a un film non dovrebbero bastare i suoi grandi interpreti per sbarcare in automatico in concorso in Croisette. 

Advertisement

Netflix
Okja esce da un tendone urlando e spaventando il pubblico, la presentatrice e la piccola Mija
Okja è una favola animalista bella e talvolta cruda, ma con troppa fretta nel distinguere tra buoni e cattivi.

Non è un film che lascia indifferenti Okja; è simile a un predatore che si camuffa da grande e rassicurante blockbuster ambientalista per famiglie, salvo poi tirare fuori gli artigli e colpire. Purtroppo però è ben lontano dalle pellicole più taglienti del suo regista, il sudcoreano benvoluto a Hollywood Bong Joon-ho, le cui prove migliori rimangono ancora quelle prodotte in madre patria. Negli scenari belli e senz'anima rurali e urbani di Okja è difficile riconoscere il regista che sulle sue memorabili carrellate e movimenti laterali di cinepresa aveva costruito un intero film, Snowpiercer

Non è la prima volta che il cinema tenta di trovare il suo manifesto animalista e vegetariano: negli ultimi anni ci hanno provato sia gli studios (ricordate l'allegoria biblica Noah di Darren Aronofsky?) sia film autoriali a loro modo memorabili, come White God di Kornél Mundruczó. La pietra miliare non è ancora arrivata e certo il vincitore non sarà un film come Okja, così didascalico e perentorio da aprirsi con Tilda Swinton che racconta per filo e per segno l'incipit del film, incapace di non spiegare e spiegarsi a parole e spiegoni. 

Non mancano le scene forti e memorabili, soprattutto nella seconda parte, capaci di perforare l'indifferenza dello spettatore e di colpire al cuore. A mancare però è proprio la fiducia nella storia in sé, popolata da personaggi così esagerati da mettere in crisi interpreti come Tilda Swinton e Jake Gyllenhaal. Il protagonista putativo è invece un super maiale un po' Totoro e un po' ET, usato biecamente dal film per i suoi scopi al pari delle industrie alimentari e degli animalisti. Okja è adorabile e null'altro, piange il cuore a vederla ferito dall'uomo in quanto animale carino e dolce, perché non c'è alcun tipo di sforzo nel dargli una dignità caratteriale.

Advertisement

In alcuni passaggi il film tenta la mossa molto coraggiosa di mettere tutti sul piatto della bilancia dei cattivi: multinazionali del cibo, ambientalisti travolti dalla propria cieca vanità, persino la piccola Mija, in un ritratto ferino e oscuro dell'umanità. Sfortunatamente però il film rifugge persino il suo naturale climax, rifugiandosi nella bella favola ambientalista e vegetariana. Pur più che sufficiente e interessante da vedere, a Okja non bastano un paio di scene forti e un girato con dei guzzi di creatività per giustificare la sua presenza in concorso a Cannes. 

Netflix
Tilda Swinton tende la mano estasiata durante la scena iniziale di Okja
La bravura non è tutto: anche Tilda Swinton non riesce a gestire il personaggio esagerato toccatole in sorte in Okja

A mancare a Okja è proprio la pressione forte di uno studios che imprima una direzione precisa al progetto e mantenga sempre su standard cinematografici la pellicola. Netflix invece gestisce il tutto con un'impostazione televisiva che rendere il risultato ambiguo e contraddittorio: ora è una favola miyazakiana, ora è un film per famiglie, talvolta diventa uno di quei imprevedibili e brutali film sudcoreani. Alla fine però non è davvero nulla di tutto ciò: è solo un altro tentativo di investire sulla naturale simpatia che un animale grande e coccoloso suscita per servire una lezioncina etica un po' troppo perentoria. 

Advertisement
Non perderti le nostre ultime notizie!

Iscriviti al nostro canale Telegram e rimani aggiornato!

Sto cercando articoli simili...