Un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Science Advances, risultato della collaborazione fra ricercatori di Francia, Belgio, Regno Unito, Stati Uniti e Canada, ha cercato di dare risposta ad alcune fra le domande sul cervello umano più complesse ma anche più affascinanti:
In quale parte del cervello risiede la coscienza umana, e cosa s'intende davvero per 'coscienza'?
La ricerca ha coinvolto ben 159 persone provenienti da quattro differenti centri medici, di cui è stata registrata l’attività cerebrale tramite tomografia a risonanza magnetica. Tutti i soggetti, indotti in una sorta di stato d’incoscienza, hanno però reagito in modo diverso ai test effettuati dal team internazionale di scienziati.
Su tutti i partecipanti, 47 di essi godevano di ottima salute e sono stati sedati temporaneamente mediante anestesia generale, mentre i restanti 112 soggetti hanno tutti subito in passato dei traumi cerebrali seri. Gli individui non sani sono stati dunque divisi in due gruppi: nel primo gruppo i pazienti che hanno mostrano un minimo di reazione e percezione del mondo esterno, mentre nel secondo quelli in stato vegetativo.
Sorprendentemente, i pazienti in stato vegetativo hanno mostrato segni di coscienza quando è stato chiesto loro semplicemente d’immaginare di fare qualcosa, come muovere la propria mano.
I ricercatori dunque hanno comparato i risultati ottenuti fra tutti i pazienti, trovando ben quattro distinti modelli d’attività neurale.
I modelli sono stati poi suddivisi per livello di complessità, in base anche alle connessioni fra neuroni di 42 regioni diverse del cervello.
Ciò che ha sorpreso gli addetti ai lavori è che alcuni pazienti in stato vegetativo hanno mostrato momenti d’attività cerebrale che rispecchiano ciò che accade nel modello tipico di pazienti perfettamente in salute.
Da precisare però che, fra i pazienti in stato vegetativo che non hanno dato minima risposta ai test iniziali, non è stata trovata traccia di modelli d’attività cerebrale particolarmente elevata, e lo stesso vale per i pazienti sani opportunamente sedati.
Dunque ciò farebbe presupporre una correlazione più profonda fra il livello di coscienza di un paziente e i modelli di connessioni cerebrali dello stesso, correlazione su cui bisogna ancora indagare per poterla comprendere a fondo.
A tal proposito, Davinia Fernández-Espejo, ricercatrice dell’Università di Birmingham, parla di quanto siano importanti i risultati ottenuti dallo studio:
La scomparsa dei modelli più complessi di ‘coscienza cerebrale’ quando i pazienti vengono sottoposti ad anestesia generale, ci suggerisce che i nostri test hanno agito sul livello di coscienza dei soggetti, indipendentemente dalla presenza o meno di danni al cervello e dalla loro reattività agli stimoli esterni.
Fernández-Espejo pensa inoltre che le ricerche del suo team potranno magari, in futuro, riuscire a “risvegliare” in qualche modo la coscienza di pazienti che l’hanno "smarrita":
In futuro sarà possibile elaborare dei modi per ‘modulare’, in qualche maniera, questi ‘segni di coscienza’, e poter risvegliare parte di quella consapevolezza e capacità di rispondere agli stimoli nei pazienti che le hanno perdute. Si potrebbero, ad esempio, effettuare tecniche di stimolazione non invasive, fra cui la stimolazione elettrica transcranica.
In ogni caso, i risultati ottenuti dal team internazionale di neuroscienziati potrebbero aiutare a comprendere meglio non solo il concetto di coscienza umana, ma anche a ottenere informazioni importanti sul fenomeno del “sogno lucido” (per sogno lucido si intende la capacità di muoversi con piena coscienza nel sogno).
E voi che ne pensate? Credete che con la ricerca si possa riuscire a raggiungere una visione più completa del concetto di coscienza?
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