La mia vita con John F. Donovan, la recensione: Xavier Dolan e Kit Harington naufragano in un film caotico

Autore: Elisa Giudici ,

Non è un mistero quanto sia stata travagliata la produzione di La mia vita con John F. Donovan, il primo film statunitense e con un cast all star per Xavier Dolan. Il prodigio del cinema canadese, lanciato dal Festival di Cannes, esploso nel circuito cinefilo e apprezzatissimo dalla critica qualche tempo fa ha deciso di fare il salto di qualità. Dopo una carriera di film francofoni, si è deciso ad affrontare la prima sceneggiatura in inglese con cast di volti familiarissimi al grande pubblico (Natalie Portman, Kathy Bates e soprattutto Kit Harington) e con una storia che coniugasse i temi da sempre cari all'enfant prodige del cinema canadese al grande pubblico. 

Difficile spiegare ai frequentatori abituali della sala senza grande sprone cinefilo e festivaliero l’impatto rivoluzionario e iconoclasta che Dolan ha avuto negli ultimi anni sulla scena autoriale internazionale. Impossibile farlo avendo solo a disposizione questo film; una pellicola che dilatata all’infinito la propria incoerenza interna, che assedia lo spettatore con la noia insopprimibile generata da personaggi di cui non ci importa mai nulla, sconclusionati, freddi.

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Kit Harington nei panni di John F. Donovan
Kit Harington tenta la strada del cinema d'autore nei panni di John F. Donovan

Anche per i fan della prima ora di Dolan - regista che ha avuto una distribuzione tardiva e difficile nel nostro paese - il suo tocco registico qui è quasi irrintracciabile. Eppure il giovane cineasta è noto proprio per uno stile personalissimo e ipertrofico, per il carisma e il carattere. Cosa è successo? Difficile davvero a dirsi, di fronte a un film che lascia dietro di sé un’unica certezza: quella di essere un fallimento conclamato.

Morte (major) di un giovane regista

Il primo giallo che circonda la pellicola è l’assenza di Jessica Chastain dal montaggio finale. Chi ha seguito le vicende di questo film ricorderà che Dolan l’aveva presentato come un progetto scritto esclusivamente per lei, di cui doveva essere una delle protagoniste assolute. Dopo un periodo di rimandi e silenzi, è stato lo stesso cineasta a spiegare l’arcano: il film era troppo lungo e veleggiava sopra le quattro ore di durata anche senza la complessa storyline dell’attrice. Quindi via Jessica Chastain, supposto perno dell’operazione, ma anche via la parte più controversa della trama del film.

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Natalie Portman nei panni della madre di Donovan
Natalie Portman nei panni della madre di Donovan ha un ruolo sconclusionato e poco incisivo

Chi ha buona memoria ricorderà che le prime sinossi del film parlavano di un giovane attore sulla cresta dell’onda, il John F. Donovan del titolo, accusato di presunte molestie su un ragazzino minorenne. Nel girato finale del film ad emergere e fare scandalo è invece solo la corrispondenza tra il ragazzino 11enne e la star in ascesa, colpita nel mentre anche da uno scandalo sul suo presunto orientamento sessuale.

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Anche non ricostruendone la travagliata storia a ritroso s’intuisce che il film lavora su un presupposto non esplicitato e che le reazioni del pubblico e dei protagonisti mal si assortiscono con le cause addotte. L’intera narrazione del legame di penna tra i due protagonisti è gestita malissimo, forse perché i tagli hanno portato via spiegazioni e presupposti importanti, necessari. Per esempio il film lascia il pubblico senza risposte riguardo al presupposto dell'intera storia, ovvero perché Donovan decida di rispondere proprio alla lettera del piccolo Rupert e di continuare a farlo per 5 anni.

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Kit Harington si confida con una collega di set
Kit Harington non è in grado di gestire un ruolo così complesso in un film tanto debole

L’intenzione è quella di creare un parallelismo tra le vite dei due giovani lontani eppure molto simili; con rapporti paterni difficili, orientamenti sessuali omoerotici e un legame profondo ma complesso con le rispettive madri. Il risultato però è così dissonante che ci si sente un po’ come la giornalista che intervista il Rupert ormai adulto e manifesta il suo fastidio per come i protagonisti facciano di comprensibili difficoltà relazionali e umane drammi insormontabili e totalizzanti. L’espressione utilizzata è quella di “First world problem” (problemi da Primo mondo) e purtroppo risulta calzante rispetto al risultato del film, che manca completamente di renderci partecipi del dramma dei protagonisti.

Un progetto maledetto

Sarebbe forse stato d’aiuto avere un grande attore dalla vis drammatica totalizzante, ma Kit Harington non ha la maturità artistica e forse nemmeno l’enorme quantitativo di talento necessario a prendersi un film tanto problematico sulle spalle e portarlo in acque sicure. Al contrario il piccolo Jacob Tremblay - che vanta già una carriera da veterano - sa il fatto suo ma è proprio il film a remargli contro, con una parte piena di ridondanze e passaggi stucchevoli.

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Uno dei presupposti narrativi, la decisione di John F. Donovan di nascondere la propria omosessualità al grande pubblico, è perfino un po’ stridente. Quella raccontata dal film sembra una storia pescata dagli anni ’90 con lo stigma dell'AIDS sulla comunità queer, mentre è ambientata in 2006 decisamente meno oscurantista. Lungi dal sostenere che le cose siano state all'epoca o siano ancor oggi facili per gli interpreti dichiaratamente gay, in altri film di Dolan il tema dell’accettazione della propria omosessualità è temporalmente e socialmente contestualizzato in maniera migliore, talvolta perfino iconica.

Il vero guazzabuglio irredimibile in cui si ficca il film e da cui non riesce ad uscire è quello del rapporto con le madri dei protagonisti, interpretate da Natalie Portman e Susan Sarandon. Il rapporto travagliato con la madre è un tema imprescindibile del cinema di un regista che ha esordito con un film estremamente autobiografico intitolato J'ai tué ma mère (Ho ucciso mia madre). Qui però i conflitti tra i protagonisti e le due ingombranti genitrici sembrano figli di capricci, le riconciliazioni tardive tra le più stucchevoli e artificiose mai viste.

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Jacob Tremblay nella sua cameretta
Jacob Tremblay nella sua cameretta tappezzata di poster di John F. Donovan

La mia vita con John F. Donovan è un film in cui Xavier Dolan non è pervenuto, neppure nello stile di regia del film, tra l'anonimo e l'esasperante con continui primissimi piani molto insistiti. Stucchevole, caotico e persino un po’ perbenista, è un progetto maledetto, montato e rimontato per contenere il più possibile un danno inevitabile. Si tratta di un fallimento, di un film brutto e mai davvero riuscito, in nessuno dei suoi passaggi. Nulla di drammatico per un regista talentuoso, che potrebbe facilmente trasformare questa crisi in una rinascita creativa, traendo una maggiore consapevolezza nei riguardi di come si organizza e porta a casa un film fuori dal circuito indie.

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Se non avete mai visto un film di Dolan, lasciate perdere e concentratevi sui suoi bellissimi lavori precedenti (per esempio Mummy e Tom à la ferme). Se invece siete suoi estimatori, preparatevi a soffrire; così come accade quando si vede una persona cara sbagliare clamorosamente.

La mia vita con John F. Donovan arriverà nelle sale italiane dal 27 giugno 2019.

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Commento

cpop.it

40

Affossato da un Kit Harington non all'altezza della sfida, il prodigio del cinema canadese Dolan aggiunge una nuova tappa al suo cammino stellare: quella del primo irrevocabile, cocente fallimento.

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