Interstellar: il significato del finale del film di Christopher Nolan

Autore: Redazione NoSpoiler ,

Christopher Nolan è uno di quei registi in grado di giocare con specchi e doppi (The Prestige e Il Cavaliere Oscuro), attraversare i labirinti della mente (Inception) così come le pieghe della Storia, vedi Dunkirk. Prima di cimentarsi con la space opera, il cineasta britannico aveva modellato il suo cinema con film rompicapo dalla linea narrativa contorta, giocata su più livelli spazio-temporali.

Interstellar è uno sci-fi ad alto tasso emotivo realizzato nel segno della continuità: se il ricorso al meccanismo delle scatole cinesi è meno evidente che nel film in cui DiCaprio ruba i sogni altrui, il lavoro continuo sul montaggio sia alternato che parallelo - espediente, questo, ampiamente sfruttato anche in Dunkirk - costringe lo stesso lo spettatore ad un continuo sforzo mentale per non perdersi nell'iperspazio di una storia d'amore padre/figlia mascherata da odissea interstellare.

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È un film complesso, Interstellar. Nel raccontare il dramma di un ingegnere aerospaziale costretto ad abbandonare i propri figli per assicurare loro - e all'umanità tutta - un futuro, Nolan si appella alla fisica, filosofeggia, ammicca al genio visionario Kubrick (coreografie spaziali e movimenti di macchina centrifughi sono largamente debitori a 2001: Odissea nello spazio).

Restare al passo dei due Nolan - Chris e Jonathan, autori della sceneggiatura - non è dunque impresa semplice, specie per chi non ha familiarità con concetti cari alla meccanica quantistica e alla Teoria della Relatività. Interstellar si avventura nell'open space tra misurabile e fantastico, arrivando a ipotizzare modelli, simulando wormhole e quinte dimensioni, chiedendo per assurdo - in un film pieno zeppo di nozioni pseudo-scientifiche - allo spettatore un "atto di fede", credere cioè che quanto mostrato sullo schermo sia teoricamente possibile.

Insterstellar: il significato del finale del film di Nolan

Warner Bros.
Murph, la figlia di Cooper in Interstellar

“Non andartene, docile, in quella notte buona”. Il finale di Interstellar cancella di colpo l'ansia per una fine imminente che aveva caratterizzato fin lì la pellicola, aprendo al mélo e ad un insperato ottimismo alla Spielberg che esalta l'amore come unità di misura più forte del tempo e dello spazio in una fantomatica quinta dimensione (teorizzata finora dai fisici interessati a trascendere le altre quattro estensioni conosciute, compresa il tempo).

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Nolan, con un piglio a metà tra il filosofo esistenzialista e l'accademico a suo agio con le dinamiche non lineari, affronta le anomalie gravitazionali in relazione al fattore tempo/affetti (un'ora degli astronauti corrisponde a sette anni sulla Terra), costringendo il "novello Ulisse", Cooper (Matthew McConaughey), ad avventurarsi nell'ignoto che spaventa - e che Kubrick aveva così abilmente filmato - superando l'immaginario Stretto dei Dardanelli cosmico costituito dal wormhole.

L'approdo finale del pilota Cooper è il tesseratto, un ipercubo quadridimensionale che scopriamo essere stato realizzato da "loro", fantomatici artefici di una realtà penta-dimensionale in cui il tempo viene rappresentato come un'entità fisica, da poter finalmente attraversare anche all'indietro (ciò, rivela il fisico Kip Thorne, non è possibile nella realtà tridimensionale cui siamo abituati). Ma chi sono questi "loro" che stanno dietro le quinte e che permettono a Cooper di trasmettere dati di importanza vitale a sua figlia Murph (Jessica Chastain), divenuta nel frattempo una brillante scienziata?

"Loro" sono con tutta probabilità i nostri discendenti, i popoli del futuro che hanno piena padronanza dello spaziotempo. Realizzando un tesseratto - che Nolan immagina come una sorta di libreria cablata - hanno aiutato Cooper a trasmettere in codice Morse a sua figlia i dati necessari a trarre in salvo l'umanità, condannata altrimenti ad una lenta agonia su una Terra morente.

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In questo arzigogolato intreccio di cosmico, fisico e intimo, in cui la dimensione affettiva, rappresentata (anche) da un orologio, è indispensabile per il successo di una missione di salvataggio, si palesa quello che viene definito un paradosso ontologico, già vissuto al cinema ai tempi di Terminator (e del "futuro passato" degli X-Men): Cooper viene aiutato dai suoi stessi discendenti nel tesseratto, salvando così l'umanità. Ma come fanno "loro" ad esistere se, in sostanza, il personaggio di McConaughey ancora non li ha salvati? È lo stesso loop paradossale che interessa le figure di John Connor e Kyle Reese (oltre che Skynet) nella saga di James Cameron sulle macchine ribelli.

Nolan trascende il tempo, il che è una costante della sua filmografia (pensate, ad esempio, all'eterno palesarsi del sogno di Cobb/DiCaprio in Inception), arrivando a spiegare l'esistenza, al di là di meri calcoli scientifici, in chiave puramente affettiva. Il suo è (pure) un tentativo di conciliare un topos da tragedia classica, quello dell’esplorazione dell’ignoto, con una digressione filosofica e ontologica sull’esistenza umana.

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Il film, però, avrebbe potuto prendere una piega completamente diversa, avvicinandosi ancor di più agli interrogativi irrisolti di 2001: Odissea nello spazio. Ecco perché:

Il finale alternativo di Interstellar

Warner Bros.
Matthew McConaughey in una scena del film

Nerdist svela il finale alternativo di Interstellar dal co-sceneggiatore del film, Jonathan Nolan, durante un evento a Pasadena legato alla promozione dell'uscita in home video di Interstellar, il finale tendenzialmente zuccheroso del film è opera di suo fratello. Jonathan, infatti, aveva pensato ad un epilogo decisamente più dark, senza il tesseratto.

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Il film si sarebbe dovuto concludere con il tentativo fallito da parte di Cooper di attraversare il ponte di Einstein-Rosen (comunemente chiamato wormhole). Il collasso del cunicolo spazio-temporale avrebbe quindi impedito all'astronauta col volto di McConaughey di manipolare lo spaziotempo, negandogli la possibilità di mettersi in contatto "a distanza" con sua figlia Murph.

Altro che finale conciliante, la pellicola sarebbe potuta terminare lasciando diversi interrogativi in sospeso, persa nell'angosciante infinito dello spazio.

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