La Signora del Lago, la recensione: qualcosa finisce, qualcosa inizia

Autore: Simone Alvaro Segatori ,

Qualcosa finisce, qualcosa inizia. Sapkowski non avrebbe potuto esprimere meglio la sensazione che si ha arrivando alla fine de La Signora del Lago e del viaggio lungo sette libri che abbiamo percorso con lo strigo Geralt di Rivia e la sua compagnia. Le vicende dei protagonisti così come noi li abbiamo conosciuti trovano il proprio epilogo in quest’ultimo romanzo, aprendosi però a nuovi scenari e a nuove possibilità che, purtroppo, non ci è dato conoscere.

La Signora del Lago è la degna conclusione di una saga che ci ha tenuto incollati tra umorismo, dolore e continue riflessioni sulla giustizia, il male e il bene, la vita e la morte.

Dove eravamo rimasti: una guerra senza fine e i destini di molti ancora in sospeso

Dopo La torre della rondine, la storia riprende a Toussaint, un luogo da favola dove Geralt e la sua compagnia si sono fermati per riprendere le forze, aspettare che l’inverno passi e capire che direzione prendere per proseguire con il proprio viaggio. La rarefatta atmosfera di pace che spira da questo luogo e le dolci braccia di un nuovo amore fungono da anestetico per lo strigo che, stremato da una continua ricerca senza fine, si lascia trascinare dalla corrente senza troppi sforzi, riprendendo anche l’attività di cacciatore di mostri. Una conversazione inaspettata, origliata per un fortuito caso del destino, lo risveglierà dal torpore spingendolo di nuovo in marcia, più deciso che mai a ritrovare Ciri e Yennefer.

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Ritorna così il Geralt che amiamo, un uomo diviso tra dolori, paure e conflitti interiori, cinico e sprezzante, che mette in dubbio tutto e tutti, ma che sa essere deciso e capace di affrontare la morte a testa alta per le persone a cui tiene. Un mutante sì, ma un uomo comune come ce ne sono tanti, che per una giusta causa riesce a trasformarsi nell’eroe che non voleva essere.

CD Projekt Red
Geralt non abbadnona la disperata ricerca di Yennefer e Ciri

Ciri, invece, si risveglia in un luogo altrettanto irreale e rarefatto come Toussaint, una sorta di universo nascosto dentro la torre della rondine dove a guidarla troviamo il saggio Avallac’h. Non tutto ciò che luccica però si dimostra essere oro e un luogo dove rifugiarsi può trasformarsi ben presto in una prigione. Ciri però non è più una bambina spaventata (in fondo lo è stata per pochissimo tempo), ma una donna piena di risorse che non si lascia più ingannare e imbrigliare tanto facilmente. Il suo destino si compie in quest’ultimo libro, ma non segue la strada che i lettori o gli altri protagonisti e antagonisti avevano pensato per lei.

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“È una cosa strana la predestinazione” dirà qualcuno ad un certo punto e infatti sono cinque romanzi che cerchiamo di capirla e ogni volta che sembriamo sul punto di afferrare un disegno nel caos degli avvenimenti, questo cambia subito. C’è chi la definisce la bambina della sorpresa, chi la figlia del Sangue Antico, chi ancora inizierà a chiamarla la Signora del Lago o la Signora dei Mondi. Ognuno ha una visione differente di Ciri e del suo destino, plasmata principalmente sui propri scopi personali. Ciri però si dimostra padrona di sé stessa, la sola ed unica artefice del proprio destino, liberandosi dalle prigionie in cui tutti, nel bene e nel male, la tengono rinchiusa.

Intanto, il mondo è ancora sconvolto dalla guerra tra i regni del Nord e Nilfgaard, ma il conflitto volge ormai ad un termine, vuoi per motivi naturali, vuoi perché qualcun altro dall’alto così ha deciso. Nelle terre dilaniate continuano però ad agire nell’ombra diversi poteri, decisi a distruggere il mondo una volta per tutte o salvare ciò che ancora si può recuperare.

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L’ultimo libro della saga: tantissime voci a raccontare il mondo che è stato e quello che sarà

Sapkowski ci ha dimostrato sin dal primo libro di racconti che la caratteristica principale del suo stile sarebbe stato un certo eclettismo, che lo avrebbe portato a cambiare di continuo punto di vista, stile di scrittura e a saltare nel tempo e nello spazio. Se molto spesso le sue scelte stilistiche sono state forzate e confusionarie, in quest’ultimo capitolo l’autore è maturato tanto da trasformare i suoi difetti in pregi che riescono a raccontare nel migliore dei modi gli eventi narrati.

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Il racconto dell’ultima grande battaglia tra il Nord e Nilfgaard, per esempio, non sarebbe stato così efficace se l’autore avesse deciso di presentarcelo come uno sterile resoconto dagli occhi di un solo personaggio. La frammentarietà per cui Sapkowski si distingue dà vita ora ad un racconto corale d’impatto, ad un modo molto originale di raccontarci la guerra, in cui trovano spazio più microuniversi e voci che altrimenti si perderebbero nelle grida di furore, nelle urla dei morti e negli incitamenti alla violenza.

Il focus passa continuamente da un personaggio all’altro, dal grande condottiero al soldato semplice in preda al panico, da una vedetta troppo sbadata ad un cadetto in un’accademia militare del futuro, soffermandosi molto spesso anche lontano dal campo di battaglia, in una tenda che funge da lazzaretto ed infermeria in cui possiamo percepire con tutti e quattro i sensi i reali effetti della guerra e capirne l’assurdità.

In questo frangente i salti nel futuro e quelli nel passato che ci presentano gli ultimi ricordi dei morenti, creano pathos e stabiliscono una forte empatia tra lettori e personaggi. In poche ore di battaglia, le piccole scelte e le non scelte di ogni uomo e donna presente, anche il meno significativo, riescano ad avere un effetto prolungato nel tempo sulle vite di intere nazioni. Un'esemplificazione dell’effetto farfalla.

Marta Dettlaff / CD Project RED
Sapkowski narra la guerra tramite un racconto corale d'impatto

Sapkowski stupisce quindi una volta in più, confermando ancora la sua abilità nel costruire dialoghi sempre ben bilanciati, conditi di riflessioni ciniche, mai eccessive e che si rivolgono direttamente a noi e alla nostra contemporaneità. Tutti i personaggi poi, anche quelli che incontriamo per la prima volta e che non rivedremo mai più, sono dolorosamente reali, con tutte le loro debolezze e i difetti, attraverso un linguaggio volutamente scurrile e a gesti ed emozioni giustificati da una grande umanità.

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Questa è poi una saga che non lesina sulla presenza di antagonisti, praticamente uno in ogni angolo del mondo, tutti ben caratterizzati, con delle ragioni veritiere a muoverli e che anche quando si presentano come tipici megalomani assetati di potere riescono a lasciare qualcosa dietro di sé e non una dozzinale rappresentazione.

Due caratteristiche che differenziano notevolmente questo libro dagli altri precedenti sono la metatestualità e l’incursione in territorio fantascientifico, su cui non ci soffermeremo più di tanto per evitare spoiler. Gli elementi di cui parliamo possono essere in linea con la storia e la mitologia che Sapkowski ha creato per il suo universo, ma certe scelte risulteranno gradite ad un tipo di lettore più orientato verso la commistione di generi letterari, mentre saranno scomode per chi si è approcciato alla saga con l’intento di immergersi in un fantasy classico. Sapkowski ha però voluto giocare con i dettami del genere, uscendone in parte vittorioso e in parte sconfitto.

La fine di una saga, la fine di un’era

Essendo il romanzo conclusivo di una grande saga non ci si aspetta nient’altro che momenti emozionanti e grandi rivelazioni. Sapkowski abbonda con entrambi senza strafare, risolve molte delle questioni che più ci premevano, ma ogni tanto si perde per strada, dimenticando qualcosa e lasciando delle linee narrative secondarie aperte, conducendoci verso un finale frettoloso e confusionario.

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Rimane poi l’amaro in bocca per alcuni punti in cui i nessi logici saltano lasciando spazio alla magia come unica soluzione, o per altri conflitti e tensioni che si risolvono senza troppe spiegazioni o giustificazioni alle azioni compiute. Nonostante ciò abbiamo dei momenti tra i più alti della saga, con dei plot twist incredibili che cambiano completamente la visione della storia, portando il lettore a fermarsi un attimo e a rivalutare tutto ciò che ha sempre pensato di sapere sin dai primi racconti.

Tate S
La fuga di Ciri, Signora dei mondi

La Signora del Lago è uno dei romanzi più belli e riusciti della saga, con un cuore epico ed emozionante e un finale dolceamaro, di quelli a cui ci ha abituati Tolkien, in cui il male è troppo radicato nel mondo per potersi abbandonare ad un semplicistico “e vissero tutti felici e contenti”. Nonostante le esitazioni e le mancanze, l’impatto è quello di un pugno nello stomaco che lascia senza fiato per diversi minuti e di cui si continua a sentire l’eco a giorni di distanza.

Così come Nimue e Condwiramurs, anche il lettore riflette e torna tutto il tempo sulle sensazioni rimaste dopo la lettura, su tutte quelle immagini e informazioni immagazzinate e cerca di rimettere insieme i pezzi, per capire come si è svolta davvero la leggenda di Geralt e Ciri e scorgere negli ultimi indizi uno spiraglio di ciò che succederà…

Qualcosa finisce e qualcosa inizia, sì, ma Geralt e la sua compagnia ci mancheranno, e tanto.

Commento

cpop.it

90

Il tassello finale della leggenda di Geralt Di Rivia e della principessa Cirilla. Tra metatestualità, incursioni nella fantascienza e rivelazioni inaspettate è un romanzo che lascia il segno.

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