American Horror Story: 1984, il senso del finale di stagione

Autore: Chiara Poli ,

Già alla sua prima apparizione sapevamo che avrebbe portato con sé il significato dell'intera stagione: Finn Wittrock, veterano di #American Horror Story e straordinario interprete nella mia stagione preferita, #Freak Show, ci ha guidato attraverso un ultimo episodio in cui tutto gira al contrario.

Con una visita al Red Meadows Asylum che lasciava intendere una connessione con la stagione 2, e il ritorno al luogo in cui tutto era cominciato con la fuga di Mr. Jingles, #American Horror Story: 1984 ha tirato le somme della stagione più divertente, irriverente, trasgressiva e infarcita di citazioni viste finora.

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Donna Chambers (Angelica Ross) è tornata dove il suo folle piano era cominciato, in un episodio che torna all'inizio di tutto, per espiare i propri peccati.

E l'espiazione è stato, a sorpresa, il tema conduttore di questo finale.

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American Horror Story: 1984. Finn Wittrock è Bobby Richter
American Horror Story: 1984. Finn Wittrock è Bobby Richter nel finale

Quando l'hanno rinchiuso qui, era innocente.

Donna non fa giri di parole: quando si trova di fronte il figlio di Benjamin Richter (John Carroll Lynch), il famigerato Mr. Jingles che lei stessa aveva fatto evadere per studiarlo, parla chiaro.

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Sono passati trent'anni da quel festival rock che nei piani dei killer avrebbe dovuto essere il teatro di un massacro e nei piani di Margaret Booth (Leslie Grossman) un'incredibile fonte di guadagno. Trent'anni che ci raccontano, solo ora, come quel festival non abbia mai avuto luogo.

Inizia lì, da quello stratagemma per rimandare indietro il pubblico, la redenzione del finale di 1984.

Inizia da Trevor Kirchner (Matthew Morrison), che affronta finalmente la donna che ha sposato per un ricatto e dalla quale è stato trasformato nella peggiore versione di se stesso.

E proprio di questo ci parla l'episodio: di redenzione, di espiazione, di nuove occasioni per diventare persone migliori.

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American Horror Story: 1984. Brooke aiuta Trevor
American Horror Story: 1984. Brooke aiuta Trevor e Montana nel finale

Il misterioso benefattore

Una seconda occasione: la scoperta della nuova vita di Brooke (Emma Roberts) rappresenta questo.

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La speranza di rifarsi una vita dopo una serie di drammi inimmaginabili, di dolore e sofferenze. La capacità di rinascere, di lasciarsi il passato alle spalle, di trovare la tanto agognata felicità. O, almeno, la serenità. Ma c’è anche altro: il riscatto da tutto ciò che quel dolore aveva rappresentato.

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Insieme a Brooke, tutte le vittime di Red Campwood sono in qualche modo sopravvissute. Benjamin Richter, il suo fratellino e sua madre hanno avuto l’occasione di dire addio a Bobby, che porta il nome di quel bambino sfortunato la cui morte diede inizio a tutto.

Quella di Camp Redwood è una leggenda, una favola, un monito: l’inaspettato lieto fine ci dice, senza nemmeno bisogno di parole (bastano i sorrisi del piccolo Bobby, di Lavinia (Lily Rabe) e di Benjamin mentre Bobby si allontana), che chi non c’è più veglia su di noi.

Che dobbiamo vivere per loro, per i nostri cari che non hanno avuto le nostre stesse opportunità e che meritano il nostro amore per la vita, il nostro rispetto per il dono più straordinario di tutti.

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American Horror Story: 1984. Camp Redwood
American Horror Story: 1984. Camp Redwood nel 2019

Lasciar andare l’odio

Lily Rabe è entrata in scena per interpretare una madre nevrotica, ossessionata dall’amore per uno dei due figli e dall’incapacità di accettarne la morte, addossandone la colpa all'altro figlio.

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Lavinia Richter ci è stata presentata come un mostro, ma alla fine ha trovato la pace del perdono, nella non-vita di Camp Redwood, insieme ai suoi bambini. Tutti e due. Uno cresciuto e uno rimasto lì, dove non ha mai avuto la possibilità di vivere davvero.

In questo senso, il personaggio di Lavinia Richter si lega a doppio filo a quello di Montana (Billie Lourd): sono due donne che hanno imparato solo nella dannazione della non-morte che lasciar andare odio e rabbia è l’unico modo per trovare davvero la pace.

Due dei personaggi più rappresentativi della follia omicida di questa stagione sono diventate i messaggeri del segreto della serenità: la pace con se stessi.

Lasciar andare il rancore, però, non significa diventare passivi, o buoni fino all’inverosimile, o sostenitori della non violenza: non sarebbe affatto in linea con la natura stessa dei personaggi. E non sarebbe American Horror Story, che da sempre ci racconta solo una cosa: la violenza di cui gli esseri umani sono capaci.

Per far sì che la serenità regni - per esempio nella vita di Bobby - Montana e gli altri diventano i Guardiani della Morte: per 30 anni impediscono a Richard Ramirez (Zach Villa), alias The Night Stalker, di lasciare Camp Redwood.

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American Horror Story: 1984. Il massacro di Ramirez
American Horror Story: 1984. Il massacro di Richard Ramirez

Fra giustizia e vendetta: vittime contro carnefici

Riportato in vita dal patto stretto con Satana, Ramirez non è come gli altri fantasmi: può muoversi liberamente, andando ovunque vuole. E Montana, Trevor, Lavinia e tutti gli altri sanno bene che vuole solo trovare Bobby per ucciderlo, vendicando il tradimento di Benjamin.

Per questo, i fantasmi di Camp Redwood l’hanno ucciso milioni di volte, a turno, nel corso di tre decenni. Così facendo hanno salvato la vita di Bobby, ma anche quella di tutte le altre persone che il terribile Night Stalker avrebbe ammazzato lungo la strada (e oltre).

Montana e gli altri, così, hanno protetto il mondo dalla violenza. E l’hanno fatto, paradossalmente, perpetrando la violenza: hanno inflitto a Richard Ramirez le peggiori punizioni possibili per i suoi crimini. Perché, se il messaggio di American Horror Story: 1984 è quello di lasciare andare odio e rabbia? Semplice: perché c’è una condizione. 

Laddove la giustizia umana non arriva, là e soltanto là potrà arrivare la cruenta giustizia della morte.

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American Horror Story: 1984. Bobby
American Horror Story: 1984. Bobby vede la sua famiglia

I non-morti di Camp Redwood danno a Ramirez, Margaret e tutti gli altri che lo meritano ciò che spetta loro: sofferenza infinita. Distruzione. Cancellazione per rendere il mondo un posto migliore.

Ora, la domanda che segue è: questo significa che è lecito farsi giustizia da soli? 1984 ci dice questo? No. Certo che no.

Perché ci racconta una storia in cui gli angeli vendicatori, coloro ai quali spetta il compito di Guardiani della Morte e di carnefici senza tempo, fino alla fine del mondo e oltre, sono tutti morti. Non sono quindi soggetti alle regole del mondo terreno, e le loro regole non possono essere applicate al nostro. 

Ancora una volta, Ryan Murphy e Brad Falchuk ci hanno regalato un importante momento di riflessione, che può aiutarci a capire che lasciar andare è l’unico modo per ricostruirsi una vita. A patto, naturalmente, di essere sopravvissuti al massacro - letterale o figurato - che ci ha messo alle corde.

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