Brave ragazze: la storia vera dietro al film con Ambra Angiolini

Autore: Alessandro Zoppo ,

Un Ocean's Twelve all'italiana, un heist-movie in chiave tutta femminile. È questo Brave ragazze, la storia di quattro donne disperate che decidono di travestirsi da uomini e commettere una serie di rapine nella Gaeta degli anni '80.

Si chiamano Anna (Ambra Angiolini), Maria (Serena Rossi), Chicca (Ilenia Pastorelli) e Caterina (Silvia D'Amico).

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La prima è disoccupata e sola, con due figli a carico. La seconda è una moglie religiosa e "devota" ad un marito camionista e violento. Le altre due sono sorelle, una alla ricerca della propria identità sessuale e l'altra desiderosa di proseguire gli studi ma senza un soldo in tasca.

Alle "amiche da morire", ormai con le spalle al muro, non "resta che il crimine". I primi colpi vanno a segno, fino a quando il commissario Gianni Morandi (!), interpretato da Luca Argentero, non si mette sulle loro tracce.

#Brave ragazze è il secondo film dell'attrice, regista e sceneggiatrice Michela Andreozzi, che si ritaglia pure la parte dell'agente di polizia con spiccato accento veneto.

In bilico tra action e commedia socio-criminale, Brave ragazze è ispirato alla storia vera di una gang di rapinatrici francesi che operavano nella zona di Avignone nella seconda metà degli anni '80.

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Andreozzi e lo sceneggiatore Alberto Manni, che trasportano questa vicenda a Gaeta, hanno letto un articolo di cronaca che raccontava in poche righe l'episodio. Tutto comincia nella Francia meridionale, zona di Vaucluse.

Laurence, Hélène, Carole, Fatija e Malika sono cinque ragazze tra i 20 e i 25 anni, amiche d'infanzia. Abitano a L'Isle-sur-la Sorgue, nella regione di Cavaillon, cittadina della Provenza famosa per i canali e le antiche ruote idrauliche e nota come la "piccola Venezia".

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Le cinque, tuttavia, conducono un'esistenza travagliata.

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Laurence vive da sola con un bambino e fa la domestica in un motel. Hélène è una commessa in un panificio, è sposata (e due volte divorziata) ed è madre di tre figli. Carole è una dipendente del municipio che arrotonda vendendo olive al mercato.

Malika e Fatija, le sorelle, sono molto diverse tra loro: la prima è una brillante quanto spiantata studentessa, la seconda è stata già condannata per furto.

Sono donne in crisi che provano a dare una svolta al corso delle loro vite e a conquistare insieme l'indipendenza impugnando le pistole. Aiutate da un uomo, Gilbert, che procura loro le armi (in realtà delle scacciacani) e guida l'auto durante le fughe, tra il 1989 e il 1992 mettono a segno sei rapine nelle banche di tutta la Vaucluse.

Le rapine, l'arresto, il processo

Il bottino è relativamente scarso: 330mila franchi in totale. Le "mamans braqueuses", come vengono soprannominate sui giornali, ovvero le mamme rapinatrici, spendono tutti i soldi da Auchan in giocattoli e cibo per i bambini.

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Il primo colpo è datato 23 gennaio 1989: avviene al Crédit Agricole di L'Isle-sur-la-Sorgue. Anno dopo anno, ne arrivano altri sei. Ma la beffa è dietro l'angolo.

Vengono scoperte e catturate alla settima rapina solo per un banale errore, o un semplice colpo di sfortuna: due di loro cadono, con la testa incappucciata, nella filiale della banca che gestisce il conto di Malika. Sono subito riconosciute.

Le Amazzoni della Valchiusa finiscono dietro le sbarre. Una volta in carcere, diventano famose per le loro gesta criminali e un simbolo di ribellione al sistema e ad una prevaricatrice realtà maschilista. Tutte le donne della zona vanno a trovarle e si occupano di loro e delle loro famiglie.

Le "mamans braqueuses" al cinema e in TV

Quando si celebra il processo, i media francesi iniziano ad occuparsi della vicenda, che diventa subito il "procès des Amazones".

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Le cinque sono condannate, nel 1996, per rapina a mano armata e associazione a delinquere. Il giudice è clemente e comprensivo: assegna pene tra i 6 e i 18 mesi di detenzione.

La storia, come spiega un articolo di Libération, comincia a circolare sui giornali e attira l'interesse del mondo del cinema.

Nelle note di regia di Brave ragazze, Michela Andreozzi spiega perché questo caso di cronaca è diventato lo spunto del suo copione.

Quando sono venuta a conoscenza di questa vicenda, ho pensato immediatamente che apparteneva al mondo del cinema. C'erano la storia, l'urgenza, il tema sociale; c'erano il travestimento e l'azione, la paura e il dubbio, c'erano l'inadeguatezza e la riscossa, la commedia e il dramma, gli abusi e la vendetta, la donna di ieri che è ancora – purtroppo – quella di oggi.

Brave ragazze Brave ragazze A Gaeta, primi anni '80. Quattro donne in crisi provano a cambiare il corso delle loro vite armate di bigodini e pistole. Anna (Ambra Angiolini) è una ragazza madre, due ... Apri scheda

Nel 2018 la storia delle "mamans braqueuses" è diventata la serie #Good Girls di Jenna Bans: disponibile su Netflix, è una commedia crime tra #Desperate Housewives e #Breaking Bad.

Le protagoniste sono tre madri dei sobborghi del Michigan, interpretate da Christina Hendricks, Retta e Mae Whitman.

Good Girls Good Girls Tre amiche escogitano un piano per rapinare un supermercato e, così facendo, aiutare economicamente le loro famiglie. Tuttavia, non sanno ancora che anche il mondo del crimine ha le sue ... Apri scheda

Un punto di vista molto più diretto e interessante è stato quello di Solveig Anspach, che nel 1998 ha dedicato alle donne il documentario Que personne ne bouge! (Che nessuno si muova!), presentato in anteprima alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes e passato in Italia al Bergamo Film Meeting.

Le cinque raccontano alla compianta regista, scomparsa nel 2015, le loro rapine fatte per sopravvivere attraverso una serie di aneddoti sconclusionati, come l'allegra preparazione ai colpi e l'ispirazione dai film con John Wayne.

Point du Jour International
Una scena del documentario Que personne ne bouge! di Solveig Anspach
Due delle cinque

Da allora, Laurence, Hélène, Carole, Fatija e Malika hanno ricostruito le loro vite e si sono sistemate. L'epilogo, però, non è stato dei migliori e custodisce una certa amarezza.

Libere dopo un anno di custodia cautelare, le donne sono state crudelmente segnate dall'esperienza carceraria: vivono tuttora sulla propria pelle l'allontanamento dagli adorati figli e l'atteggiamento diffidente dei vicini di casa.

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