La classifica dei migliori B-movie di sempre: i film, da Inglorious Bastards a La casa

Autore: Emanuele Zambon ,

Lampi di gloria e figli di un dio minore. Il cinema degli osannati e quello dei mestieranti, spesso e volentieri confinati dietro le quinte della ribalta. Accanto alle mega produzioni hollywoodiane e alla nutrita compagine impegnata e intellettuale, esiste un universo sconfinato, operoso, di pellicole realizzate con budget striminziti.

Gli americani li hanno definiti fin dagli anni '30 B-movie, film di serie B: progetti a basso costo, sovente girati in fretta e furia servendosi di carneadi o comprimari del grande schermo, puntando sull'inventiva di registi, sceneggiatori e truccatori chiamati ad arrangiarsi con i pochi mezzi a disposizione.

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Alcuni titoli, nel tempo, sono divenuti dei veri e propri cult, svincolandosi dalla frettolosa definizione di "pellicole girate per riempire le sale" (se non, in tempi recenti, di midnight movie, quei film mandati in onda dopo la mezzanotte) appioppatagli negli anni in cui il cinema iniziava ad accusare i successi della sorella minore, la TV.

Sul finire dei '70, soprattutto in Italia, il termine b-movie ha fatto quasi sempre rima con cinema di genere, con particolare riferimento a poliziotteschi, horror, a film d'avventura nati sulla scia di Indiana Jones e agli sci-fi debitori alle "guerre stellari" di Lucas.

Franco Nero in Django

Abbiamo selezionato 20 pellicole che vanno a comporre la classifica dei migliori B-movie di sempre. Con particolare attenzioni alle produzioni nostrane anni '70 e '80, abbiamo volutamente escluso dalla hit parade titoli che di diritto ne farebbero in teoria parte, ma che abbiamo già incluso nelle altre classifiche fin qui redatte: da film costati "un pugno di dollari" come il primo spaghetti western di Leone - per non parlare del Django di Corbucci o dei due Trinità con Bud Spencer e Terence Hill - ai cult polizieschi di Lenzi e Di Leo fino alla lunga lista di commedie sexy costruite attorno alle forme delle giunoniche Fenech, Bouchet e Cassini, che abbiamo invece accostato alle produzioni trash tricolore.

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Barbara Bouchet nella celebre go-go dancing di Milano calibro 9

Rendiamo omaggio allora ai cult girati con pochi mezzi, dietro i quali si celano a volte storie dimenticate (chi ricorda la drammatica morte di Claudio Cassinelli, volto noto del cinema di genere, deceduto nel 1986 in Arizona sul set di Vendetta dal futuro, pellicola low-budget girata sfruttando l'onda del successo di sci-fi come Interceptor e Terminator?).

Ecco i 20 b-movie da vedere assolutamente, posizionati in ordine cronologico. Guai però a chiamarli (solo) film di serie B:

L’ultimo uomo della Terra (1964)

Un fotogramma de L'ultimo uomo della Terra

Sotto la regia di Ubaldo Ragona (e di Sidney Salkow non accreditato nell’edizione italiana), Vincent Price è il dottor Robert Morgan, il quale, scampato a un virus che ha trasformato gli esseri umani in notturne creature zombesche assetate di sangue in un futuristico 1968, tenta di trovare un rimedio alla spaventosa malattia.

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Girata in bianco e nero, il film è la prima trasposizione cinematografica del romanzo I am legend di Richard Matheson, da cui sarebbero poi stati tratti anche 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra (1971) con Charlton Heston e Io sono leggenda (2007) con Will Smith.

Con il quartiere romano dell’EUR sfruttato per le inquietanti immagini di un mondo devastato e pullulante di cadaveri a terra, L'ultimo uomo della Terra è un’opera altamente coinvolgente che, complice una tutt’altro che appagante (ai tempi innovativa) conclusione, ha anticipato non pochi titoli successivi di zombie movie, da La notte dei morti viventi (1968) di George A. Romero a 28 giorni dopo (2002) di Danny Boyle.

Faster, Pussycat! Kill! Kill! (1965)

Divenuto solo in seguito un manifesto del femminismo, Faster, Pussycat! Kill! Kill! fa leva su procaci protagoniste - vero e proprio cliché di un genere, quello del sexploitation - alla guida di bolidi a quattro ruote. Cinema da grindhouse, quello sfoggiato da Russ Meyer, tutto curve (reali e figurate). La pellicola segue le vicende di tre avide go-go dancer, tra omicidi e tentate rapine. Sottotrama lesbo per un cult che ha fra i suoi estimatori più dichiarati Quentin Tarantino.

Terrore nello spazio (1965)

Terrore nello spazio, film del 1965

Un segnale di SOS proveniente da un pianeta sconosciuto viene captato da due cargo interstellari in viaggio nei meandri più ignoti dello spazio. Sembra l'incipit di Alien, è invece quello di Terrore nello spazio, fantascienza a cinque stelle firmata nel 1965 da uno degli artigiani del cinema italiano, Mario Bava. Prendendo spunto dal racconto del 1960 "Una notte di 21 ore" di Renato Pestriniero, il regista confeziona uno sci-fi teso e coinvolgente che sfocia a più riprese nel mare dell'horror. Elementi, questi, che influenzeranno non poco Ridley Scott 14 anni dopo.

Se sei vivo spara (1967)

Tomas Milian in Se sei vivo spara

Sadismo esasperato, violenza eccessiva e un protagonista carismatico - Tomas Milian - fanno del cult (spaghetti)western Se sei vivo spara uno dei B-movie per eccellenza. Nato con l'idea di mostrare al pubblico di allora una pellicola ancora più sanguinaria ed esasperata delle produzioni leoniane, il film diretto da Giulio Questi trae in realtà ispirazione dall'esperienza personale del regista (e dello sceneggiatore Franco Arcalli) tra le file dei partigiani negli anni della Resistenza, riproponendo su celluloide l'orrore bellico vissuto decenni prima sulla propria pelle, camuffandolo con cinturoni, cavalli e speroni. 

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Se sei vivo spara, immediatamente dopo l'uscita nel 1967, venne ritirato dalle sale a causa di alcune scene censurate, tra cui quella dello scotennamento di un indiano. La versione integrale fu riproposta solamente nel '75, con un titolo nuovo: Oro Hondo.

Al pari di Se sei vivo spara (ma potremmo citare almeno altri 4/5 titoli degni di nota), merita una menzione speciale anche El Mariachi, film esordio di Robert Rodriguez costato all'epoca - il '92 - appena 7mila dollari.

Con una mano ti rompo con due piedi ti spezzo (1972)

Protagonista di Mantieni l’odio per la tua vendetta (1967) di Chang Cheh, in cui vestì i panni di uno spadaccino monco, il taiwanese Jimmy Wang Yu ne fornisce questa variante priva di spade dirigendosi e interpretando Tien Chung, giovane allievo di una scuola di kung fu privato del braccio destro che decide di vendicarsi nei confronti dei mercenari che attuarono un massacro nella palestra.

In mezzo all’infinità di mediocri film d’arti marziali sfornati dalla cinematografia orientale negli anni Settanta figlia del fenomeno Bruce Lee, il cult Con una mano ti rompo con due piedi ti spezzo rappresenta un autentico gioiellino, grazie soprattutto alle bizzarre trovate spazianti dalla mano trasformata in una sorta di lama tramite l’allenamento nei carboni ardenti allo stuolo di assurdi avversari; dal maestro fornito di lunghi canini vampireschi ai gemelli siamesi dai piedi di bronzo, passando per i due tibetani capaci perfino di spiccare il volo gonfiando i propri polmoni (!!!).

Non si sevizia un paperino (1972)

Tomas Milian e Barbara Bouchet in una pausa dal set

Disturbante ibrido a firma Lucio Fulci che mescola sequenze horror e venature da noir. Tomas Milian incarna un giornalista che si trova casualmente a risolvere il caso di tre bambini uccisi da un misterioso psicopatico in uno sperduto paesino della Lucania.

Anticipando nelle violente immagini conclusive la poetica del gore che lo renderà poi maestro del genere grazie a titoli quali Zombi 2 (1979) o …e tu vivrai nel terrore! L’aldilà (1981), Fulci sforna il suo film migliore cavalcando il successo dei primi thriller argentiani ma distaccandosi in maniera molto intelligente ed originale dai loro cupi toni metropolitani per privilegiare, invece, una soleggiata atmosfera rurale (e qualcosa ci dice che Gabriele Salvatores vi abbia guardato per il suo Io non ho paura).

Le splendide musiche di Riz Ortolani e la magnifica sequenza del massacro ai danni di una presunta fattucchiera interpretata da Florinda Bolkan sulle note di Quei giorni insieme a te di Ornella Vanoni fanno il resto.

L’esorciccio (1975)

L'esorciccio è una delle proiezioni speciali riservate al potentissimo Guidobaldo Maria Riccardelli ne Il secondo tragico Fantozzi (gli altri due sono Giovannona Coscialunga e l'immaginario La polizia s'incazza). Paolo Villaggio, astutamente, cita il film di Ingrassia tra le pellicole antitetiche a quel cinema d'essai che uno degli intoccabili della Megaditta propinava nel secondo capitolo fantozziano agli sfortunati impiegati, privati pure del gol di testa da calcio d'angolo di Zoff in un infuocato Inghilterra-Italia.

Ma attenzione, perché L'esorciccio è una formidabile parodia della pellicola principe degli horror in cui si segnala, accanto al Ciccio orfano di Franco Franchi, uno straripante Lino Banfi.

Anno 2000 - La corsa della morte/Death Race (1975)

I bolidi del futuro di Anno 2000 - La corsa della morte

Anno 2000. Ventesima edizione della corsa più pazza e sanguinaria che si corre sulle ceneri dei defunti Stati Uniti d'America, sorpresi anni addietro da un colpo di stato nazista. È sulle strade che si uccide legalmente, sfrecciando su bolidi modificati dal look decisamente kitsch cercando di investire pedoni innocenti. Produce Roger Corman, il re dei B-movie, mentre al volante troviamo David Carradine e Sylvester Stallone. "Distopico ematico stop", canterebbe Lucio Dalla storpiando una delle sue hit. Di Anno 2000 - La corsa della morte esistono pure due sequel e un remake, Death Race con Jason Statham.

Ma come si può uccidere un bambino? (1976)

In vacanza nel Mediterraneo, una coppia inglese in attesa della nascita del figlio decide di visitare un’isola situata tra la Spagna e l’Africa, senza immaginare, però, che gli adulti del posto siano stati tutti uccisi dai bambini, forse improvvisamente impazziti.

Tratto da un romanzo di Juan José Plans, il secondo lungometraggio di Narciso Ibáñez Serrador rappresenta una delle più alte vette raggiunte dalla cinematografia horror spagnola. Senza alcun dubbio, il merito va attribuito ad una eccellente regia capace di far salire in maniera efficace la tensione fotogramma dopo fotogramma, mentre un desolato paesino fornisce un'affascinante ma allo stesso tempo macabra ambientazione in cui una combriccola di piccoli killer si palesa tramite attacchi che ricordano da un lato quelli degli zombi di Romero, dall’altro quelli degli uccelli hitchcockiani.

Il grande racket (1976)

Fabio Testi sul set del film

Con le fattezze di Fabio Testi, il maresciallo Nicola Palmieri è impegnato a scovare una spietata banda di taglieggiatori a Roma, supportato sia dalle vittime degli stessi che da uno stuolo di malviventi.

Forte di un cast comprendente Vincent Gardenia, un giovane Orso Maria Guerrini, Sal Borgese e Massimo Vanni, Enzo G. Castellari confeziona il suo capolavoro action mettendo in piedi con notevole tecnica oltre un’ora e quaranta di coinvolgente visione pullulante momenti da antologia. Basta citare solamente la lunga sparatoria ambientata nel deposito ferroviario della stazione Tiburtina, conferma del sapore fortemente western che attraversa l'intero lungometraggio.

Tentacoli (1977)

La Solana Beach del monster movie Tentacoli è terrorizzata da una gigantesca piovra che, disturbata dalle onde radio prodotte durante la realizzazione di un tunnel sottomarino, uccide i bagnanti del posto.

Con un assurdo cast spaziante dai caratteristi Bo Hopkins e Franco Diogene alle star hollywoodiane Shelley Winters, John Huston e Henry Fonda, Ovidio G. Assonitis si firma Oliver Hellman per concepire la migliore risposta italiana a Lo squalo (1975) di Steven Spielberg. Perché non solo gli effetti speciali decisamente più modesti vengono sfruttati a dovere, ma le diverse situazioni di tensione – dalla apertura hitchcockiana con sparizione di bambino nella carrozzina alla coinvolgente sequenza della regata – si rivelano talmente ben costruite da conquistare lo spettatore minuto dopo minuto, riservandogli anche un interessante messaggio ecologico. Il tutto mentre la splendida colonna sonora di Stelvio Cipriani regala non poca poesia.

Eraserhead – La mente che cancella (1977)

Girato in bianco e nero, in cinque anni e in totale economia, l’esordio registico di David Lynch vede John Nance nei panni del meschino e insignificante piccolo-borghese Henry, caratterizzato da una grottesca capigliatura smisurata e che si trova a dover accudire un repellente feto dalla testa di coniglio scuoiato, abbandonato dalla compagna dopo averlo dato alla luce.

Trasformatosi in un cult dei midnight movie, Eraserhead – La mente che cancella risente sicuramente della filmografia surrealista di Luis Buñuel; ma, privo di logica, l’esile plot non mira altro che a generare un continuo viaggio tra l’universo mentale e quello fisico che genera come effetto più immediato quello di far sprofondare lo spettatore in un’atmosfera tanto avvolgente quanto angosciante.

Quel maledetto treno blindato (1978)

Sul set di Quel maledetto treno blindato

I "bastardi" che hanno ispirato gli scavezzacollo senza gloria di Tarantino li racconta Enzo G. Castellari in quello che è uno degli action a basso costo più formidabili e sfacciati di sempre, ovvero Quel maledetto treno blindato (conosciuto a livello internazionale come Inglorious Bastards). Interpreti in palla - da Bo Svenson a Fred Williamson - al servizio di azioni dinamitarde e gesti eroici, con ironia e cinismo ad amalgamare uno script assai poco verosimile. Un po' Quella sporca dozzina, un po' sparatutto, un po' (cine)fumetto. Di quelli spassosi.

Pop lemon (1978)

Uno è il bello di successo con le donne, un altro il grassone impacciato. Nel mezzo troviamo il ragazzo sensibile e pieno di scrupoli, innamoratosi di una coetanea. Accompagnati da una ricchissima colonna sonora spaziante da "Rock around the clock" di Bill Haley & his Comets a "Tutti frutti" di Little Richard, sono i tre giovani degli anni Cinquanta protagonisti della pellicola israeliana tramite cui Boaz Davidson aprì una vera e propria saga, anticipando in maniera evidente il molto più conosciuto Porky’s-Questi pazzi pazzi porcelloni (1981) di Bob Clark.

Del resto, anche qui non mancano spiate sotto le docce femminili e gag “sporcaccione”; ma, al di là della garantita dose di risate, a conferire il tocco realmente originale è una inaspettata piega drammatica che, ancor prima di un tristissimo epilogo sulle note di "Mr Lonely" di Bobby Vinton, tira in ballo la spinosa tematica dell’aborto.

Lo stesso regista ne ha poi curato il riuscito remake made in USA L’ultima vergine americana (1982).

Cannibal Holocaust (1980)

Le "pizze" del materiale girato e i loro cadaveri sono ciò che un professore, in cerca di quattro giovani reporter scomparsi apparentemente nel nulla, trova in un villaggio della giungla amazzonica abitato dagli indios Shamatari, dediti al cannibalismo.

Strutturando il film in una prima parte incentrata sul viaggio di ritorno a New York dell’uomo e una seconda rappresentata dal materiale contenuto nei rulli, Ruggero Deodato anticipa di oltre vent’anni gli stilemi alla base dei found footage, la cui moda è esplosa soprattutto in seguito al notevole successo riscosso da The Blair witch project – Il mistero della strega di Blair (1999).

Più che per le efferate sequenze sanguinolente (contenenti anche reali violenze su animali che costarono al regista non poche denunce), Cannibal Holocaust va ricordato soprattutto per quest'innovativo aspetto. Un horror splatter accompagnato da una memorabile colonna sonora a firma Riz Ortrolani e con un giovane Luca Barbareschi incluso nel cast.

La casa (1982)

Una scena de La casa

Impegnati a trascorrere il week-end in un isolato cottage tra i boschi, cinque amici recitano i passaggi di un misterioso libro trovato in cantina insieme a un vecchio registratore a bobine, scatenando inavvertitamente forze maligne pronte a possederli uno alla volta per trasformarli in sanguinari demoni.

Con circa 300.000 dollari di budget e un giovane Joel Coen quale assistente al montaggio, l’esordiente Sam Raimi parte dal suo cortometraggio Within the woods e sfrutta questo esile plot dagli echi lovecraftiani per mettere in piedi quello che, tra veloci movimenti di macchina e inquadrature vertiginose, ci ha fatto conoscere il suo autentico marchio di fabbrica.

Mentre, grazie agli ottimi effetti speciali di trucco dal sapore artigianale, gli eccessi gore delineano il classico che ha inaugurato la febbre splatter anni Ottanta, facendo scuola a molti cineasti indipendenti (e non solo).

The toxic avenger (1984)

A causa di uno scherzo di cattivo gusto, il goffo addetto alle pulizie di una palestra di Tromaville finisce accidentalmente in un bidone di liquami radioattivi, ritrovandosi trasformato nel mostruoso vendicatore tossico, giustiziere armato di mocio (!!!) e che si innamora di una ragazza non vedente.

Insieme a Michael Herz, Lloyd Kaufman realizza il fiore all’occhiello della sua Troma, casa di produzione del New Jersey specializzata in trash da schermo, fornendo la allora inedita miscela di splatter e situazioni da commedia sexy-goliardica.

Perfino la decisamente rozza messa in scena, quindi, si rivela vincente dinanzi ad una tanto violenta quanto divertente operazione che, iniziatrice di una saga, manifesta inoltre il chiaro intento di rielaborare la tipica figura del supereroe dei fumetti in una versione grottesca.

Re-Animator (1985)

Tratto molto liberamente dal racconto Herbert West, rianimatore di Howard Phillips Lovecraft, il debutto dietro la macchina da presa per il teatrante Stuart Gordon cala un ottimo Jeffrey Combs nei panni del giovane allievo di uno scienziato di Zurigo che, tragicamente scomparso, ha scoperto un siero capace di riportare in vita le persone decedute da pochi minuti.

Il protagonista, proseguendo le sue ricerche aiutato da un laureando in medicina, trova poi un primario specializzato in lobotomie a fargli da rivale. Il tutto fa da preludio ad un’invasione della struttura da parte di aggressivi morti viventi. Invasione consumata in claustrofobici interni ospedalieri, evitando quindi i classici cimiteri e testimoniando la già accennata provenienza dal teatro del regista, che consente all’insieme di trasformarsi istantaneamente in un capolavoro degli anni Ottanta grazie alla miscela di imprese sanguinolente e black humour (da antologia il cunnilingus accennato a una ragazza nuda da una testa mozzata tenuta in mano dal suo stesso corpo decapitato).

Bad taste – Fuori di testa (1987)

Una scena di Bad Taste

Gli uomini armati della S.I.A. (Sezione Investigazioni Astrali) combattono a Kaihoro (Nuova Zelanda) dei pericolosi extraterrestri che, assunte le fattezze umane, hanno decimato la popolazione locale al fine di ricavare carne per una loro catena di fast food intergalattici.

Come il titolo stesso suggerisce, è sul cattivo gusto che il futuro premio Oscar Peter Jackson costruisce la sua opera d’esordio, esasperata metafora relativa al consumismo concepita in 16 millimetri insieme a un gruppo di volenterosi amici e con un budget inesistente.

Ma, tra bevute di vomito verde e frattaglie sparse ovunque, il tutto viene affrontato in maniera tanto intelligente quanto geniale, con serrato ritmo e abbondanti dosi d’ironia, riuscendo a fare perfino meglio del già lodevole Sam Raimi, sicuro punto di riferimento insieme ai Monty Python.

E si tratta soltanto del primo tassello di una ideale trilogia splatter jacksoniana proseguita con gli altrettanto lodevoli Meet the Feebles (1989) e Splatters – Gli schizzacervelli (1992).

Brain damage – La maledizione di Elmer (1988)

Penetrato in casa del giovane Brian interpretato dal Rick Hearst poi finito in diverse soap opera, il parassita vermiforme Elmer, ghiotto di cervelli, gli inietta nella testa una sostanza che lo rende allucinato e portatore di vittime proprio per il mostriciattolo.

A sei anni dal suo cult Basket case (1981), incentrato su una atipica coppia di fratelli siamesi, il newyorkese Frank Henenlotter porta sullo schermo un nuovo duo inedito e sanguinario, sguazzando tra squallidi sobborghi americani per enfatizzare un'originale allegoria horror in fotogrammi a tema tossicodipendenza, chiaramente improntata su un’omosessualità più o meno latente.

Del resto, tra materia cerebrale divorata e indispensabile ironia, ad accentuare il richiamo fallico rappresentato da Elmer provvede la sequenza che allude in maniera decisamente esplicita al blow-job, geniale e tutt’altro che volgare.

Si ringrazia Francesco Lomuscio, co-autore di questa classifica dei migliori B-movie.

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