The Great Wall non avrà sequel: i motivi del flop e gli errori della Hollywood che guarda al botteghino cinese

Autore: Elisa Giudici ,

Hollywood chiama Cina, Pechino risponde e decide di provarci. Nonostante le enormi distanze politiche e culturali, c'è un interesse comune che unisce studios hollywoodiani e produttori cinesi: le possibilità di lauti guadagni. Con la crescita esponenziale del mercato cinematografico cinese (che macina milioni di biglietti strappati e centinaia di nuove sale aperte ogni anno), anche gli equilibri mondiali del cinema stanno cambiando. Il mercato statunitense rimane il più grande e ricco, ma è tallonato da vicino dalla controparte asiatica. Impossibile ignorare questo cambiamento e i possibili guadagni derivanti dallo stesso. 

Lanciare un film in Cina però è un'impresa rischiosa: quello cinese infatti è un mercato giovanissimo e imprevedibile per antonomasia, che fa disperare consulenti e analisti. Impossibile dire con largo anticipo che film avrà successo, perché i favoriti del pubblico cinese sembrano non seguire generi, beniamini sul poster, registi o criteri qualitativi di sorta. I peggiori blockbuster diventano grandi successi e i film più apprezzati dalla critica vengono ignorati, oppure il contrario, senza un trend che possa rendere prevedibile il comportamento del pubblico cinese.  

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Un altro problema da considerare è quello del numero chiuso: il governo centrale infatti consente di distribuire in Cina un numero molto limitato di pellicole straniere, solo dopo aver superato il vaglio severissimo della censura statale. Temi politici, accenni a questioni come l'omosessualità, ma anche romantiche effusioni tra protagonisti eterosessuali e consenzienti finiscono sul pavimento della sala di montaggio, che taglia e ricuce le versioni cinesi alleggerite da scene sgradite: il problema dunque è anche etico. Hollywood però non sembra andarci molto per il sottile: Disney è gli altri studios hanno già dimostrato di essere più che pronte a castigare ancora di più i loro film (o a frenare qualsiasi supereroe dal fare un vero e proprio coming out) pur di assicurarsi un posto in sala in Cina.

Nel 2016 però Universal ha tentato di alzare l'asticella. Perché sistemare un film a posteriori e incrociare le dita di fronte alla censura cinese, quando si potrebbe creare un film già pensato per entrambi i mercati, cinese e statunitense? Nasce così un progetto cinematografico molto ambizioso, costato 151 milioni di dollari (di cui il 25 per cento finanziati da Universal) e rivelatosi un clamoroso fallimento. The Great Wall ha unito sì il pubblico statunitense e cinese, ma non come sperato: in entrambe le nazioni gli spettatori sono rimasti freddi (la critica invece si è scatenata con recensioni davvero feroci), causando perdite per oltre 75 milioni di dollari a Universal. 

Cosa ha fatto crollare la Grande muraglia produttiva sinoamericana? Ecco le ragioni per cui non vedremo mai il sequel di The Great Wall. 

Il crollo della Grande muraglia: perché il film con Matt Damon ha fatto flop

Il progetto alla base di The Great Wall è piuttosto semplice: plasmare una storia fittizia che porti su grande schermo star hollywoodiane e cinesi, con una sorta di dramma storico in costume dai toni fantastici che riproponga il classico scontro tra bene e male. A traghettare gli spettatori statunitensi nella cultura cinese ci pensa il personaggio interpretato da Matt Damon, mercenario europeo arrivato in Cina per scoprire il segreto della polvere da sparo. Qui si ritroverà invischiato nel tentativo degli eroi locali di difendere la Grande Muraglia dall'attacco di mostruose creature.

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Al fianco della star di Hollywood ci sono attori come Willem Defoe e Pedro Pascal, oltre alla controparte cinese Jing Tian (attrice già vista in molti film statunitensi) e la super star Andy Lau. Alla regia c'è un grandissimo nome cinese, notissimo a livello internazionale e con una certa esperienza con produzioni in lingua inglese: Zhang Yimou, regista autoriale cult degli anni '70 e '80, convertitosi in anni recenti a blockbusteroni filogovernativi. 

Universal
Andy Lau si prepara a scoccare una freccia
The Great Wall: più che un blockbuster, un polpettone in costume dai fini propagandistici

Cosa è andato storto? A livello qualitativo quasi tutto. Basta vedere qualche minuto di film per capire quanto l'operazione sia stata messa in piedi con molta ingenuità, soprattutto da parte statunitense. Il film non appassiona proprio perché si sente che alla base non c'è la voglia di raccontare una storia, quanto un tentativo molto artificioso di creare un Frankestein acchiappasoldi, tagliando e cucendo idee prese altrove e realizzate senza trasporto da chi è davanti e dietro la cinepresa. Sia Damon sia Yimou sono irriconoscibili, in senso negativo. 

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Gli insider hollywoodiani hanno poi raccontato che Universal è caduta nella trappola evitata per un soffio da Disney e Warner Bros negli stessi anni: accettare una coproduzione alla pari. Pechino garantisce in questo caso margini di guadagno più ampi alla controparte straniera per ogni biglietto staccato, ma in cambio pretende un ampio controllo (censorio) su quanto succede nel film. Il risultato è un polpettone propagandistico in cui un Matt Damon arrivista e sprovveduto oltre l'immaginabile viene di fatto indottrinato ai valori del confucianesimo moderno in una versione poco riuscita di Il signore degli anelli: le due torri, in cui (ir)realismo storico e elementi fantasy cozzano uno contro l'altro, rendendo il film sempre più ridicolo. 

Universal
Le star cinesi indossano armature colorate in una scena del film
Le star cinesi del cast non hanno saputo fare breccia nel cuore degli statunitensi

Partendo dalle stesse premesse, sia da parte cinese sia da parte statunitense al cinema si è visto di meglio (molto di meglio). La critica internazionale, irritata da un film dai toni propagandistici e dall'intreccio semplicistico, non è andata tanto per il sottile. Spaventato dalle pessime recensioni e scoraggiato dal fatto che le star presenti hanno superato il periodo di massimo splendore da qualche anno (altrimenti avrebbero accettato questa offerta moralmente dubbia?) il pubblico non si è presentato in sala. Se in Cina il film ha guadagnato 171 milioni di dollari in Cina, fermandosi a quota 45 negli Stati Uniti. Considerando che Universal si è accollata anche le spese di promozione a livello internazionale del film (più di 80 milioni di dollari), l'investimento non ha davvero ripagato le aspettative. Solo le vendite di supporti per home video e la cessione di diritti alle pay TV e alle piattaforme streaming (ora il film è disponibile su Netflix) hanno evitato che il salasso fosse ancora peggiore. 

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Questo insuccesso però non fermerà il tentativo di creare prodotti cinematografici adatti sia al pubblico statunitense sia a quello cinese. Secondo gli esperti interpellati da The Hollywood Reporter, le potenzialità economiche dell'operazione sono tali da spingere altri dal tentare di trovare l'alchimia per avere successo in entrambe le nazioni in un futuro abbastanza prossimo. Nel frattempo si tentano strade differenti: si scrivono i copioni dei blockbuster con un occhio alla censura cinese (rendendo facilmente asportabili le parti "controverse") e si prova a produrre in loco film pensati per il pubblico cinese. Uno dei problemi riscontrati sul set di The Great Wall che è servito da lezione a tutti gli studios è stato quello dei costi. Far convivere una troupe metà cinese e metà inglese ha richiesto un dispendio economico notevole, tra costi per interpreti e mediatori che placassero i dissidi interni tra professionisti con metodi di lavoro molto differenti. 

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Insomma, il flop di The Great Wall rende difficile se non impossibile pensare a un sequel del film. Tuttavia questo insuccesso si è anche rivelato una lezione da cui imparare, per ritentare la strada del kolossal sinostatunitense dal botteghino stellare. Nel frattempo potete testare con mano tutte le debolezze del primo tentativo: The Great Wall è ora disponibile su Netflix

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