4 metà, la recensione: il "Perfetti sconosciuti di Netflix" è solo una brutta copia dell'originale

Autore: Elisa Giudici ,

Lungi dal fugare le lunghe ombre che si stagliano sulle produzioni italiane di Netflix, 4 metà è l'ennesima prova di due distinti problemi. Il primo è la pigrizia con cui Netflix (e non solo lei) approccia le produzioni locali in Italia, con il risultato che a parte un pugno di selezionatissimi titoli in mano a grandi nomi, il resto rasenta o sconfina nel territorio del francamente imbarazzante. Il secondo è una debolezza che con i servizi di streaming non ha niente a che fare: 4 metà è l'ennesima conferma dell'incapacità dell'industria cinematografica italiana di muoversi a livello dignitoso in ambito commerciale, salvo rare eccezioni. 

Sulla carta 4 metà dovrebbe essere una romcom (termine meno rivelatore e quindi meno respingente di commedia romantica) che racconta due possibili, differenti destini di quattro single romani che si conoscono a una cena da amici. Chi li ha fatti incontrare racconta due versioni differenti di come i quattro si siano avvicinati e abbiano fatto coppia, mescolando continuamente le carte, tra matrimoni, gravidanze, tradimenti, baci e un clima di generale benessere borghese da terrazza romana. Lo spettatore non sa quale sia la versione realmente accaduta e quale sia invece inventata per confondere le acque. Avranno funzionato meglio le coppie basate su affinità caratteriali o quelle che uniscono opposti? 

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Impossibile non pensare a Sliding Doors con queste due realtà alternative che procedono di pari passo, anche se poi non è difficile capire che il vero scopo dell'intera operazione - almeno da parte di Netflix - è cercare lo stesso successo riscontrato da Perfetti Sconosciuti di Paolo Genovese. Peccando di un pressapochismo mercenario che nella pratica, ancora una volta, non paga. 

4 metà: cosa non funziona nella commedia romantica Netflix

Netflix crea poco e sfrutta il sostrato di autori, tecnici e professionalità già esistenti nei paesi dove va a sviluppare progetti autoctoni, è cosa nota. Basta sottolineare come il più grande successo italiano di quest'anno sia È stata la mano di Dio, seguito da uno Zerocalcare già ampiamente lanciato come autore e già alle prese con progetti d'animazione prima della chiamata della grande N. 

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Si può discutere per ore sui pro e i contro di questo approccio, ma il punto qui è che nessuno può davvero credere di sostituire un regista come Paolo Genovese e un team rodatissimo di sceneggiatori con Alessio Maria Federici, già autore di commedie romantiche da cestinare come Terapia di coppia per amanti. C'è chi riconduce la scarsa performance di questo film al contesto borghese poco rappresentativo in cui i personaggi 30enni si muovono. A queste persone vorrei ricordare che i protagonisti della romcom italiana made in Amazon Maschile singolare erano squattrinati giovani omosessuali che si dividevano un appartamento, eppure il film era assai mediocre. 

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Personalmente apprezzo uno spaccato sociale realistico, ma non è in cima alla lista di cose che vorrei vedere in una commedia romantica. Né l'irrealismo immobiliare di Friends ha mai fermato una generazione di 30enni dal fare costanti rewatch della serie su Netflix. Non c'è bisogno di essere Ken Loach per fare funzionare una commedia romantica di stampo commerciale, ma questo non vuol dire che si possa pensare di cavare un film dignitoso con questa povertà di mezzi e impegno. 

La sceneggiatura non è in grado di trovare uno spunto interessante oltre l'ora di durata e in più è infarcita di passaggi impacciati in cui è chiarissimo l'intento di chi scrivere di ricapitolare la situazione o sottolineare alcune informazioni, tirando fuori lo spettatore dal normale fluire delle vicende con una cornice narrativa attorno alle stesse molto posticcia. 

Il cast è sconfortante. A salvarsi è solo Matilde Gioli, la più capace e l'unica interprete con tra le mani un personaggio di vago interesse. Matteo Martari è indifendibile. Mamma Rai (che lo ha lanciato) era stata ben più accorta di Netflix, posizionandogli sempre al fianco attori d'esperienza come Thomas Trabacchi in L'alligatore o Alessandro Gassmann in I bastardi di Pizzo Falcone. Ilenia Pastorelli e Giuseppe Maggio sono a confronto illustri sconosciuti, ma non talenti nascosti da scoprire.

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Considerando che il film che si vuole andare a insidiare ha nel cast attori come Marco Giallini, Alba Rohrwacher e Valerio Mastandrea, è chiaro quale sia l'errore qui compiuto. Non tanto dare spazio a interpreti meno noti, quanto come sempre privilegiare l'aspetto da fotomodelli (Martari ha un passato in questo senso) a un minimo, anche solo un minimo di talento interpretativo. Un errore che Netflix si porta dietro dai tempi di Baby e continua e ripetere.

Se Netflix ha le sue colpe, dov'è l'industria cinematografica italiana? Perché non c'è un bacino di personale con esperienza in grado di portare a casa con dignità una pellicola buona a passare un serata sul divano? Se tra i professionisti d'esperienza ci sono "solo raccomandati", com'è che anche quando si pesca tra i giovani e giovanissimi i talenti snobbati da Rai, Mediaset e 01 Distribution non vengono mai a galla? Film come 4 metà marcano la distanza abissale del sistema italiano con quello spagnolo o francese, dove questo genere di pellicole si portano a casa in grande scioltezza, talvolta con risultati ragguardevoli. 

Commento

cpop.it

40

Netflix ha già dimostrato di poter regalare al pubblico italiano ottimi film e grandi serie Made in Italy: non basta copiare, bisogna però metterci l'impegno e il cast giusto, qui totalmente assente.

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