Apocalypto: la trama del film di Mel Gibson, tra verità e menzogne

Autore: Silvia Artana ,

Apocalypto è un film storico? Oppure offre un'immagine distorta e gravemente inaccurata della realtà che vuole rappresentare?

Quando è uscita nel 2006, la pellicola sulla civiltà Maya scritta e diretta da Mel Gibson ha scatenato feroci polemiche e molti studiosi hanno criticato aspramente la ricostruzione del regista di Braveheart - Cuore impavido e La passione di Cristo. I problemi imputati al film sono stati molteplici, a partire dalla scelta di rappresentare gli antichi abitanti del Mesoamerica come "selvaggi assetati di sangue", trascurando molte delle loro grandi conquiste scientifiche e culturali.

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In una intervista dell'epoca al Los Angeles Times, la co-sceneggiatrice Farhad Safinia ha difeso le scelte effettuate parlando di un compromesso necessario:

Quando si fa un film, la domanda ultima è: 'Qual è il giusto equilibrio tra la veridicità storica e il renderla avvincente e interessante, anche sotto l'aspetto visivo?'. La pellicola è in tutto e per tutto un giro sulle montagne russe. È stata concepita per essere quello. È un'opera di finzione.

D'altra parte, Safinia e Gibson hanno deciso di fare parlare i protagonisti di Apocalypto in lingua maya yucateca, cosa che di fatto attribuisce alla pellicola un'esplicita pretesa di autenticità. Inoltre, hanno rivendicato il valore didattico del film, affermando che con la loro opera hanno voluto ricordare che i segnali che annunciano la caduta di una civiltà sono sempre gli stessi, ovvero il degrado ambientale, i consumi eccessivi e la corruzione politica.

Tuttavia, tale lettura ha dato altro materiale a storici e archeologi per criticare l'accuratezza della pellicola, dal momento che le cause della scomparsa dei Maya non sono mai state del tutto accertate. 

Ma allora, qual è la risposta corretta alla domanda iniziale? Molto probabilmente, quella data al Los Angeles Times dal professore di antropologia della Idaho State University e consulente di Gibson, Richard D. Hansen:

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Questa è Hollywood, prima di tutto.

Apocalypto non è un documentario, ma un film. Di conseguenza, la veridicità storica è funzionale alla trama e ai protagonisti. In alcuni casi, anche a costo di gravi errori e mistificazioni

Una accurata analisi dei vari problemi storici della pellicola è stata effettuata dall'esperto di Maya della California University Zachary Hruby, in un articolo comparso sul National Geographic all'epoca dell'uscita di Apocalypto.

La società Maya

La rappresentazione dell'organizzazione sociale dei Maya in Apocalypto presenta molteplici inesattezze.

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Il primo errore è la battuta di caccia su cui si apre il film. Come spiega Hruby, durante il periodo classico (compreso tra il 250 e il 900 d.C. e probabilmente quello in cui è ambientato la pellicola) i Maya erano un popolo di agricoltori. La carne rappresentava una minima parte della dieta e la selvaggina era considerata un bene di lusso. Gli abitanti dei villaggi coltivavano la terra e non erano esclusivamente cacciatori come i membri della comunità del protagonista della storia, Zampa di Giaguaro.

Allo stesso modo, gli insediamenti non erano semplici agglomerati di capanne nella giungla selvaggia. Le case avevano fondamenta in pietra e sorgevano perlopiù in spiazzi sgomberati. Inoltre, ai lotti abitati corrispondevano specifiche aree destinate alla coltivazione di piante commestibili e medicinali e all'allevamento di animali domestici.

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Lo studioso della California University puntualizza anche che è impossibile che Zampa di Giaguaro e gli altri membri del suo gruppo non fossero a conoscenza dell'esistenza delle città, come viene mostrato nel film. Durante il periodo classico, la civiltà Maya era così organizzata e capillare che c'erano grandi comunità ogni 10 o 20 km e le piramidi non distavano mai più di 20 km dai villaggi. La connessione politica era fortissima e anche gli insediamenti più piccoli e nell'entroterra erano sempre collegati a qualche centro decisionale.

Eagle Pictures
Una scena di Apocalypto
Zampa di Giaguaro (il primo a sinistra) a caccia con il padre (al centro) e altri membri del suo villaggio

In aggiunta all'analisi di Hruby, in un articolo comparso nel 2006 sulla rivista Archaelogy, l'archeologa e antropologa Traci Ardren critica duramente la pellicola di Mel Gibson perché non menziona in alcun modo il grande livello di civiltà raggiunto dai Maya:

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Riconosco e non nascondo che i Maya praticavano violenza brutale gli uni sugli altri e facevano sacrifici di bambini durante il periodo classico. Ma in Apocalypto non si fa menzione dei risultati raggiunti nella scienza e nell'arte, della profonda spiritualità e della connessione con i cicli agricoli e delle conquiste ingegneristiche nelle città.

E in un altro pezzo contemporaneo ai primi due pubblicato sul Washington Post, il professore di antropologia della California University Karl Taube contesta l'uso dello schiavismo per costruire le piramidi mostrato nel film:

Non abbiamo prove dell'esistenza di un gran numero di schiavi.

Come spiega lo studioso, probabilmente i grandi edifici venivano costruiti da Maya liberi per una sorta di "dovere civico" oppure come forma di pagamento delle tasse vigenti.

I sacrifici Maya

I sacrifici umani collettivi compiuti dai Maya in Apocalypto non corrispondono alla realtà.

Nell'articolo sul National Geographic, Hruby spiega che la pratica di sacrificare un gran numero di persone era propria degli Aztechi, anche se non è noto quante vittime venissero immolate contemporaneamente. Invece, "non esistono dati per sostenere che i Maya facessero sacrifici umani su larga scala".

E nel pezzo pubblicato nel 2006 sul Washington Post, la posizione dell'esperto della California University è condivisa dal collega di ateneo Karl Taube:

Sappiamo che gli Aztechi erano a quei livelli di uccisione. Nel loro caso, si parla di 20mila vittime.

Lo studioso sottolinea pure che la sconfinata tomba a cielo aperto piena di corpi in decomposizione decapitati mostrata nel film è pura finzione, dal momento che "non esistono prove dell'esistenza di fosse comuni".

All'opposto, Hruby chiarisce che i sacrifici dei Maya erano un atto "molto personale" e che dopo la morte le ossa delle vittime erano conservate da coloro che avevano compiuto il rituale. Inoltre, nell'articolo del Washington Post, il professore di antropologia alla Brown University Stephen Houston spiega che i Maya "non andavano in giro a radunare gente comune per fare i loro sacrifici", ma che le vittime erano re e appartenenti alla élite delle fazioni politiche opposte e dei popoli sottomessi. 

L'arrivo degli spagnoli e la critica al finale

L'arrivo degli spagnoli alla fine di Apocalypto è un vera e propria deformazione storica e culturale.

Benché nel film non vengano citate esplicitamente date, la maggior parte degli studiosi concorda nel dire che la rappresentazione della civiltà Maya offerta dalla pellicola coincida con quella del cosiddetto periodo classico, che va dal 250 al 900 d.C. Tuttavia, nei commenti presenti nel DVD, Mel Gibson e Farhad Safinia sostengono che la scena finale mostra il primo incontro tra gli spagnoli e i Maya, che è avvenuto nel quarto viaggio di Cristoforo Colombo nel 1502. Ovvero, 600 anni dopo.

Ma l'arrivo dei conquistatori occidentali non rappresenta solo un problema di natura cronologica. Come scrive Traci Ardren su Archaelogy, sembra suggerire che i Maya avessero bisogno di essere salvati perché la loro società era marcia dalle fondamenta. Una teoria, quella della studiosa, condivisa da molti e che troverebbe conferma nella frase che apre il film (riferita alla caduta dell'Impero Romano):

Una grande civiltà viene conquistata dall'esterno solo quando si è distrutta dall'interno.

Se così fosse, come nota Stephen Houston, il significato implicito di Apocalypto sarebbe che la civiltà Maya meritava di morire e di fatto Mel Gibson avvallerebbe la "nozione offensiva e razzista" utilizzata per secoli per giustificare la conquista e lo sterminio degli antichi abitanti del Mesoamerica da parte dei "conquistadores".

Una conclusione ambigua che continua a fare discutere.

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