L'avvocato del diavolo, la spiegazione del finale del film con Al Pacino e Keanu Reeves

Autore: Alice Grisa ,

L’avvocato del diavolo è un film di Taylor Hackford, la storia di un avvocato infallibile, pronto ad assumere anche le cause moralmente inaccettabili pur di aumentare il proprio prestigio. L’incontro con John Milton lo porterà a nuove consapevolezze e a rendersi conto di quale sia la sua vera natura.

Nel ruolo del protagonista Kevin Lomax, l’idiomatico “avvocato del diavolo”, troviamo Keanu Reeves. Charlize Theron interpreta sua moglie Mary Ann e Al Pacino il misterioso John Milton, capo di un grande studio legale che vuole proprio Kevin nella sua squadra.

L'avvocato del diavolo L'avvocato del diavolo Kevin Lomax è un giovane avvocato di successo della Florida. Non ha mai perso una causa, benchè talvolta consapevole della colpevolezza dei propri clienti. E' felicemente sposato con Mary Ann ... Apri scheda

Il film parte con Kevin che sta difendendo un professore (colpevole) per aver molestato ragazze minorenni. La sua brillante arringa, che riesce a farlo assolvere, gli procura un nuovo lavoro superpagato presso lo studio Milton a New York. Ma, poco dopo essersi trasferiti, la moglie di Kevin comincia ad accusare dei malesseri.

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Dopo il tragico suicidio di Mary Ann, tormentata da strane visioni, la madre di Kevin rivela al figlio la sua vera natura: John Milton è il diavolo, è suo padre e ha un piano per sottomettere il mondo approfittando del momento buio per l’umanità grazie al nuovo Anticristo, il figlio che Kevin dovrebbe avere generare insieme alla propria sorellastra.

Per non essere complice di questo orrendo disegno, Kevin si suicida, interrompendo ogni connessione con il proprio padre.

Il finale del film

Warner Bros.
Kevin e Mary Ann in una scena de L'avvocato del diavolo
L'ultima scena de L'avvocato del diavolo

La morte di Kevin ci fa scoprire che l’incontro tra l’avvocato e John Milton era solo un sogno o, meglio, una visione che il rampante avvocato aveva avuto in aula prima di far assolvere un professore pedofilo. Scopriamo anche che Mary Ann è ancora viva e Kevin, turbato dalla sua allucinazione, decide di abbandonare la causa del molestatore.

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Poco dopo, però, un giornalista gli chiede di rilasciargli un’intervista esclusiva sulla sua crisi di coscienza, per dare materiale ai talk show e all’opinione pubblica. Kevin dapprima rifiuta ma la moglie Mary Ann insiste e alla fine l’avvocato concede l’intervista.

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Mentre la coppia scende le scale del tribunale, scopriamo che il volto del giornalista si trasforma in quello di John Milton, che pronuncia una frase-tagline.

Vanità, decisamente il mio peccato preferito.

La spiegazione del finale del film

Non a caso il nome del personaggio di Al Pacino è John Milton, autore inglese del poema Paradiso perduto. Proprio lui rappresenta il diavolo, la naturale inclinazione al male che ha ognuno di noi e, in questo caso, l’essere umano è rappresentato da Kevin, un avvocato vanitoso e ambizioso. Convinto di essere riuscito a liberarsi di suo padre (o meglio, simbolicamente, di una parte di sé), Kevin si sente un essere umano migliore quando abbandona la difesa di un pedofilo. Ma la gloria dura pochissimo, perché pochi minuti dopo riesce a farsi irretire dalla trappola della vanità, con un giornalista che gli promette onori e titoli sui giornali.

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Qualunque fonte che allontana dallo scopo supremo del bene e avvicina alla strada dell’autocompiacimento, della soddisfazione personale e quindi della perdizione ha il volto di John Milton, il diavolo che – proprio come accade nel Vangelo – tenta con le lusinghe, non con le minacce.

Leggendo questo finale sul piano allegorico, ci rendiamo conto che l’uomo s’illude di sfuggire al male, ma non può farlo, perché fa parte, proprio come il bene, della sua natura. Convinto di essersi comportato in modo esemplare, Kevin viene attirato dalla trappola della vanità e il libero arbitrio in cui aveva creduto di poter contare è solo una consolazione apparente.

Il senso del film può essere riassunto da una frase di Milton. 

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Meglio regnare all’Inferno che servire in Paradiso.

È proprio così? Il bene è corretto e giusto ma è faticoso. Il male, al contrario, ha una forza seduttiva a cui quasi nessuno, sembra suggerire il film, è immune.

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