Capone: quanto è storicamente accurato il film con Tom Hardy?

Autore: Giulia Vitellaro ,

Dopo le numerose trasposizioni cinematografiche già esistenti, la figura ormai iconica di Al Capone torna sullo schermo: a interpretarla questa volta è Tom Hardy, diretto da Josh Trank. Capone, uscito nel 2020, è però diverso alle altre avventure del celebre gangster sul grande schermo: è la parte finale della storia, il lento decadere di un mito, la sua disfatta.

Come in molti dei film su di lui, tuttavia, le licenze creative sono tante, e sono forse anche queste piccole libertà narrative ad averlo reso un personaggio tanto interessante e amato dal cinema. Con le parole di Jonathan Eig, autore del libro Get Capone:

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Parte del motivo per cui Capone è diventato una figura quasi mitologica del nostro tempo si può trovare in tutte le libertà che si sono prese le persone che hanno raccontato la sua storia 

Ma cosa c’è di fedele e di inventato nell’opera di Trank?

Il motivo per cui Capone è uscito di prigione

Inizialmente condannato a una prigionia di 11 anni, Capone è stato in prigione per 7 anni, 6 mesi e 15 giorni. La storia del suo arresto è ormai una leggenda: non essendo riusciti ad arrestarlo per i traffici illegali e per i numerosi omicidi di cui è stato mandante, nel 1931 la polizia riuscì a metterlo in prigione con la sola accusa di evasione fiscale. Il boss di Chicago aveva 32 anni. Inizialmente ospite di un penitenziario ad Atlanta, nel 1934 fu trasferito ad Alcatraz. Proprio come il personaggio interpretato da Hardy, fu rilasciato in anticipo per via delle sue condizioni di salute in via di peggioramento. Dopo il suo rilascio anticipato, Capone si ritirò in un ospedale di Baltimora, per poi finalmente tornare a casa (a Palm Island,  in Florida) affidato alle cure della moglie, Mae

La demenza

Lo sceneggiatore e regista Josh Trank non è il primo ad accarezzare l’idea che Al Capone abbia finto gravi condizioni di salute per uscire di prigione. Ai tempi girarono alcune voci sulla possibilità che il boss avesse imitato i sintomi della demenza senile e un aggravamento generale delle proprie condizioni per uscire di prigione. Clyde Smaldone, boss della famiglia malavitosa in controllo a Denver in quegli anni, nella sua biografia afferma che:

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 Dicono che Al aveva la sifilide, ma è una bugia. Penso che più che altro avesse il cuore a pezzi. 

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Capone fuma un sigaro seduto sulla propria poltrona

Le voci furono tutte smentite, da un semplice fatto: nel 1938 ricevette una diagnosi formale in cui era riportato che la sifilide era degenerata in neurosifilide. La malattia, in particolare se non trattata, può arrivare a causare grandi buchi di memoria e allucinazioni. Nel 1942 la produzione su vasta scala di penicillina non era ancora iniziata, e malgrado Capone fosse uno dei primi ad utilizzarla per curarsi, l’intervento fu decisamente tardivo, considerato lo stadio della malattia. Nel film con Tom Hardy, vediamo l’attore esperire dei confusi flashback dal proprio violento passato, usando come catalizzatore proprio lo stato confusionale portato dalla malattia.

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A questo si aggiunge il fatto che, all’inizio della sua condanna, il boss avesse dovuto affrontare una profonda crisi d’astinenza da cocaina; la dipendenza dalla sostanza era tale che il suo consumo eccessivo aveva scavato un profondo buco nel suo setto nasale.

L'FBI e le indagini segrete 

È probabile che, finché è vissuto (e forse anche diversi anni dopo), le indagini su Al Capone condotte dall’FBI non si siano mai fermate. Tuttavia è probabile che siano state condotte con modalità estremamente differenti da quelle che vediamo nel film (ovvero il monitoraggio costante della casa e delle attività dell’uomo).

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Un gruppo della FBI intercetta le chiamate di Al Capone da un furgoncino

Nel film, gli investigatori federali si avvalgono anche dell’aiuto del dottore di Capone, il Dr. Karlock, per capire se l’uomo stia fingendo il suo deplorevole stato cerebrale per evitare di tornare in prigione o rivelare dove ha nascosto il suo tesoro. Ad oggi non esiste alcuna prova o alcun sospetto che il vero dottore che si è occupato del boss negli ultimi anni abbia avuto qualche contatto con gli agenti federali.

L’agente Crawford 

L’agente Crawford (interpretato da Jack Lowden) non sembra essere mai esistito nella storia processuale del vero Capone. Piuttosto, sembra essere un personaggio-crasi di tutti gli agenti e i membri delle forze dell’ordine che si sono avvicendati nella sorveglianza successiva alla sua uscita di prigione. L’agente più famoso ad occuparsi di Capone è ovviamente quello il cui lavoro ha condotto all’arresto del boss il 5 giugno 1931 attraverso lo “stratagemma” dell’evasione fiscale: Eliot Ness.

Il tesoro nascosto di Al Capone

Nel film, Capone non riesce a ricordare se e dove avesse nascosto i 10 milioni di refurtiva celati alle autorità federali. Malgrado le scene e gli aneddoti legati a questo fatto siano puramente fittizi e ideati dallo sceneggiatore, le vicende biografiche del vero Capone sembrano considerare lecita l’ipotesi che parte della sua immensa fortuna sia nascosta in vari punti di Chicago, ma che il boss abbia dimenticato (per via della malattia) dove si trovino. L’ipotesi è stata appoggiata anche da Marie Capone, sua nipote, che sostiene che lo stato avanzato della neurosifilide abbia impedito al nonno di ricordarsi dove avesse nascosto i milioni di refurtiva. Sin dal suo arresto, la ricerca di questa fortuna è stata condotta da molti (in modo amatoriale o meno), non portando mai a nessun concreto risultato. 

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Nel 1980, durante i lavori di ristrutturazione del Lexington Hotel, fu trovata una fitte rete di tunnel sotterranei che partivano proprio dalla suite in cui Capone aveva soggiornato nel periodo immediatamente precedente al suo arresto. In questi tunnel (che sfociavano in alcuni bar e case chiuse) erano state ritrovate scorte di munizioni e, soprattutto, una cassaforte. Tutti erano convinti che in quella cassetta di sicurezza contenesse almeno una parte della fortuna del boss di Chicago: la sua apertura andò in diretta nazionale, il 21 aprile del 1986, e fu osservata dallo schermo di 30 milioni di persone, che tuttavia dovettero andare incontro a una grande delusione. Nella cassaforte furono ritrovate soltanto delle bottiglie vuote e del terriccio.

Capone Capone Alfonse Capone, il gangster più temuto della storia del crimine americano è stato un uomo d'affari spietato e dedito al contrabbando, che governava Chicago con il pugno di ferro. All'età ... Apri scheda

Al Capone veniva davvero chiamato Fonzo?

Questo dettaglio si attiene molto fedelmente alla quotidianità dell'ex boss. Fonzo (o Fonze) è un’abbreviazione del nome completo del boss: Alphonse Gabriel Capone. Fonzo era anche il primo titolo di produzione dato al film di Trank prima dell'uscita. Capone aveva tantissimi soprannomi, tra i quali il più conosciuto è sicuramente Scarface: se lo guadagnò dopo un alterco nel 1917. Aveva flirtato con la sorella del gangster Frank Galluccio, il quale, in tutta risposta, aveva allontanato i due e chiesto a lui di scusarsi. La situazione era precipitate e Galluccio aveva dato tre coltellate in faccia a Capone, procurandogli una brutta cicatrice.

Il peggioramento della malattia

Nel suo periodo di massima attività criminale, Capone era definito il “Nemico pubblico numero uno”. Quando fu esaminato dal dottor Kenneth Phillips e da alcuni psichiatri nel 1946, tutti concordarono nell'affermare che le sue facoltà mentali erano paragonabili a quelle di un bambino di 12 anni: un effetto della malattia. Nel film, Hardy riesce a rendere molto bene (nel suo italiano mugugnato) le difficoltà di salute del boss; tuttavia, nel film, malgrado delle scene estremamente reali e crude, il personaggio sembra decisamente più presente a se stesso di un dodicenne. 

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Capone, col viso distrutto dalla neurosifilide, passeggia in vestaglia nel proprio giardino

Gli effetti della malattia rappresentati da Trank sono simili a quelli dell’Alzheimer e sono arricchiti da una serie di allucinazioni da cui si evince una chiara nostalgia e allo stesso tempo un senso di colpa del boss nei confronti delle atrocità commesse.

Hardy ha dovuto passare ore al trucco per assomigliare a Capone, e ancora di più per assomigliare al Capone malato, riuscendoci in maniera abbastanza inquietante e convincente. A questo proposito, nella già citata intervista a USA Today, il regista ha affermato: 

Abbiamo tentato di ricreare il più fedelmente possibile le cicatrici causate della sifilide. Ovviamente non abbiamo testimonianze fotografiche di Capone in ogni stadio della malattia.

Capone parlava davvero così?

Nella versione inglese, l’interpretazione di Hardy rende la voce di Capone roca, mugugnata, gutturale, quasi caricaturale. Non esistono registrazioni o testimonianze di alcun tipo della voce del gangster più temuto di Chicago. Per l’interpretazione di Tom Hardy, Trank si è ispirato al comico Jimmy Durante, un italo-americano di quegli anni, a Brooklyn.

Abbiamo pensato così quell’accento, è un’interpretazione. Quando qualcuno è famoso come Capone, abbiamo tutti una nostra personale idea di come quella persona fosse, si muovesse e parlasse. Secondo ciò che so e ho studiato, sono convinto che ho scritto il personaggio molto simile a com’era all’epoca.

La famiglia

Le dinamiche familiari in casa Capone sembrano essere abbastanza fedeli alla realtà, secondo quanto raccontato dai suoi discendenti. I cambiamenti apportati sono pochi ma significativi. Innanzitutto, il fratello Ralphie Capone non abitava con lui stabilmente in California; dopo essere stato rilasciato nel 1935 per attività criminali affiliate a quelle di Al, si è trasferito nel Wisconsin, restando lì sino al giorno della sua dipartita, nel 1974.

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Capone in completo gessato insieme alla moglie Mae

Un altro dettaglio tralasciato da Trank riguarda il figlio Sonny Capone. Sonny era nato con una sifilide congenita che lo aveva portato a subire numerose operazioni durante tutta l’infanzia, inclusa una chirurgia cerebrale all’età di appena 7 anni. Sonny era sopravvissuto all’intervento, ma era rimasto quasi totalmente sordo, un dettaglio che nel film si è scelto di non riportare.

Il figlio illegittimo

Capone ha ufficialmente un solo figlio, Albert Francis detto Sonny (interpretato da Noel Fisher), morto nel 2004 a 85 anni. Nel film, il protagonista è perseguitato da un figlio illegittimo mai riconosciuto, che ogni tanto fa qualche chiamata anonima a casa, e che regolarmente fa capolino nelle sue allucinazioni, tenendo in mano un palloncino giallo oro. 

In realtà, sono esistite diverse persone che hanno dichiarato di essere i figli illegittimi di Al Capone, senza però che ci fosse alcun modo di provarlo. In proposito, il regista afferma:

Non mi sento in colpa e non rimpiango di averlo inserito nel film. Un figlio illegittimo è un’ipotesi estremamente valida per un uomo con la sua posizione, in quel mondo, in quel business. 

Il Dr. Karlock

Il dr. Karlock (interpretato da Kyle MacLachlan), convince l’ormai assente Capone a rimpiazzare il suo onnipresente sigaro con una carota. Il personaggio di MacLachlan, così come questo particolare dettaglio, sono una completa invenzione di Josh Trank, il regista.

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Il dr. Karlock durante una visita a casa Capone

MacLachlan ha amato moltissimo l’idea della carota, che nel film si trasforma in un simbolo con un significato specifico: dimostra che persino i gangster leggendari devono accettare l’avanzare dell’età e la malattia. Il vegetale è diventato l’inside joke dell’attore con Tom Hardy. 

“Ogni volta che dovevamo parlare, gli mandavo via messaggio una carota. È diventata una cosa nostra.” 

Johnny

Un altro personaggio che vediamo spesso nel ritratto cinematografico tratteggiato da Trank è quello di Johnny, interpretato da Matt Dillion. Johnny inizialmente sembra uno degli altri scagnozzi e mobster compagni di avventure di Capone: dopo il suo rilascio, lo raggiunge in Florida e porta Fonzo a pescare e a parlare. Sembra conoscerlo molto bene e avere a cuore il suo destino. Tuttavia, più avanti nel film, vediamo una scena in cui, al capezzale del boss, Johnny si strappa gli occhi e glieli porge un su un piatto: capiamo lì che il suo personaggio è un'altra allucinazione, o peggio, un fantasma dal passato di Capone.

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Johnny

Il personaggio sembra ispirato a Johnny Torrio, il mobster che ha guidato Al nei primi suoi primi passi nella malavita, per molti versi il suo mentore. Dillion interpreta un personaggio che, più che attenersi fedelmente alla realtà storica, è un simbolo del passato di Capone. Rappresenta la gloria, l'atteggiamento, i pensieri e gli orrori di chi conduceva quella vita in quegli anni. La scena del film in cui si strappa gli occhi, più che raccontare la vera morte di Torrio (morto per un attacco di cuore mentre era dal barbiere, nel 1957) rappresenta l'apoteosi del tormento del boss, perseguitato da scene di massacri e violenza della sua carriera criminale.

La scena della mitragliatrice e il finale

Una delle scene finali di Capone rivela qual è la vera intenzione del regista: non quella di confezionare un biopic sugli ultimi momenti del boss di Chicago. È piuttosto la storia interiore della sua anarchia cerebrale, dei suoi rimorsi, del suo rimanere al di sopra delle regole anche quando regredito a una condizione quasi infantile. Nell'ultima mezz'ora lo vediamo letteralmente uscire fuori di senno: prende la sua Tommy gun dorata e inizia a sparare a tutti quelli che incontra nel proprio lussureggiante giardino.

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Capone spara a tappeto nel proprio giardino

L’uomo che un tempo terrorizzava Chicago, ora poco più di un bambino a malapena cosciente, è circondato da una famiglia che lo compatisce, da scagnozzi che gli rimangono accanto per fedeltà o per mettere le mani sui suoi soldi, da medici, da possibili spie della FBI. Con la sua mitragliatrice, per quella mezz'ora, riprende con veemenza il controllo sui suoi scagnozzi, riuscendo a terrorizzarli un’ultima volta. Quello stesso scatto vitale gli regala, forse, un attimo di lucidità in cui ricorda dov’è seppellito il tesoro. Dura poco.

Ovviamente, anche questa è un’invenzione del regista, ideata non solo per dare movimento al film, ma per dare risalto alla solitudine di uomo che non ha mai dato per scontata la fedeltà di nessuno (come è evidente da eventi ormai diventati iconici nella storia americana, come il massacro di San Valentino).

Capone è un uomo a cui è rimasta soltanto la sua famiglia e che non può più contare su nessuno, perché i suoi scagnozzi sembrano stargli accanto solo in attesa che dia un indizio sul nascondiglio della refurtiva. Ha sulle spalle un peso incredibile che lo schiaccia e lo sotterra quasi quanto la sua malattia. Un po’ come la statua di Atlante che regge il mondo, che il boss non vuole assolutamente far rimuovere dal proprio lussuoso giardino.

L’immaginario figlio illegittimo Tony, nel film è una sorta di filo di Arianna della sua sanità mentale: passeggia tra le allucinazioni con un palloncino color oro e lo guida fuori. È un segreto che lo tormenta ma che lo tiene anche stranamente a galla. Nella scena finale, il giorno del ringraziamento, il ragazzo ormai cresciuto lo raggiunge nella villa in Florida e i due si tengono la mano. Al ha accettato il suo passato, pieno di atrocità e segreti che porterà con sé nella tomba, custoditi in chissà quale parte remota del suo cervello, in chissà quale angolo sperduto di Chicago.

Capone è un film del 2020 diretto da Josh Trank, con Tom Hardy, Linda Cardellini, Jack Lowden, Noel Fisher e Kyle MacLachlan.

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