È morto Rutger Hauer, il replicante di Blade Runner: suo uno dei monologhi più belli del cinema

Autore: Emanuele Zambon ,

Trovarsi lì, al largo dei bastioni di Orione, testimone di navi da combattimento in fiamme. Varcare le porte di Tannhauser mentre tutto intorno i raggi B balenano nel buio interstellare. Roba che nemmeno Star Wars potrebbe (forse) immaginare. Rutger Hauer ha reso un po' più orfano il cinema, quello di Serie A, andandosene all'età di 75 anni dopo una lunga malattia.

”È tempo di morire", avrebbe esclamato il suo Roy Batty, replicante punk ossigenato di Blade Runner, il capolavoro di fantascienza diretto da Ridley Scott. Ma cos'è il trapasso per uno "che ha visto cose che noi umani... "? Una seccatura insignificante, perché a volte può bastare un monologo per assicurarsi l'eternità, almeno al cinema. E l'olandese nato il 23 gennaio 1944 a Breukelen non solo ci ha regalato uno dei passaggi più indimenticabili della storia del cinema, ma l'ha anche (parzialmente) improvvisato, con quel "come lacrime nella pioggia" pronunciato su un set fradicio quando ormai albeggiava.

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Hauer, stando a quanto rivelato dal suo agente Steve Kenis, è venuto a mancare lo scorso 19 luglio, mentre i funerali si sono svolti solo oggi, mercoledì 24 luglio. Per uno strano scherzo del destino, l'attore è morto lo stesso anno in cui il suo Roy terminava il proprio ciclo vitale (l'anno in cui è ambientato Blade Runner è il 2019), non prima di aver risparmiato il killer di androidi Rick Deckard (Harrison Ford), tra riflessioni esistenziali (i ricordi scompaiono assieme a noi?) e colombe svolazzanti.

Lo si ricorda, Hauer, per quel bellissimo monologo finale sotto la pioggia, azzardato dall'attore per accorciare l'epilogo immaginato da Scott (senza avvertirlo, con la troupe commossa per le toccanti frasi, Hauer stravolse le battute per poi sorridere in modo irriverente all'indirizzo del regista una volta terminato il ciak). È vero, Blade Runner è il film del ruolo della vita, ma la carriera del performer europeo vanta titoli di culto.

Rutger Hauer oltre Blade Runner: da Ladyhawke a Batman Begins

Warner Bros.
Rutger Hauer e il suo falco in Ladyhawke

Nel '73 Paul Verhoeven portò all'attenzione mondiale lo sguardo dirompente di Rutger Hauer. Il film era Fiore di carne, candidato all'Oscar per il Miglior film straniero. Seguì, sempre con Verhoeven in regia, Soldato d'Orange. L'anno prima di Blade Runner l'attore tenne New York sotto scacco ne I falchi della notte. Hauer impersonava un terrorista senza scrupoli con cui Sylvester Stallone ingaggiava una sfida senza regole. Tra le sequenze da ricordare, il sequestro di alcuni diplomatici sulla funivia dell'isola Roosevelt e l'incrocio di sguardi in discoteca tra il detective e l'attentatore sulle note di "Brown Sugar" dei Rolling Stones.

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Tra i ruoli più celebri di Hauer figurano poi il cavaliere dannato Etienne Navarre del bellissimo fantasy anni '80 Ladyhawke e il reduce del Vietnam non vedente (ma letale con la spada) di Furia cieca di Phillip Noyce. Ci fu (pure) un pezzo d'Italia nella carriera di Hauer: prima l'incontro fortunato con Ermanno Olmi (La leggenda del santo bevitore si aggiudicò Il Leone d'Oro al Festival di Venezia nel 1988), poi In una notte di chiaro di luna, per la regia di Lina Wertmüller, quindi, nel 2002, l'incursione nei misteri italiani con I banchieri di Dio - Il caso Calvi, diretto da Giuseppe Ferrara.

Nei primi anni Duemila Hauer prese parte al biopic di Clooney, Confessioni di una mente pericolosa, e al primo capitolo della trilogia del Cavaliere Oscuro, Batman Begins.

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