Festival di Locarno 71, a tu per tu con Kyle Cooper, il re dei titoli di testa a Hollywood

Autore: Elisa Giudici ,

Cosa hanno in comune il thriller di David Fincher Se7en, la serie TV horror di Ryan Murphy American Horror Story, il logo della Marvel che precedeva i film della prima era dei supereroi al cinema e i titoli di testa di Tropic Thunder e Sherlock Holmes? La risposta è Kyle Cooper, designer, creativo e regista di intro, loghi e prologhi per Hollywood. Anzi, il titolista per eccellenza, a cui sono dedicati siti, analisi, tesi di laurea e alcuni libri di approfondimento. 

Locarno Festival / Samuel Golay
Il designer Kyle Cooper
Il designer Kyle Cooper è stato omaggiato del Vision Award Ticino moda

Kyle Cooper è uno dei grandi artigiani del cinema di cui il pubblico conosce a menadito l'opera senza però saperne riconoscere nome e volto. Eppure alla Master class organizzata dal Festival di Locarno 2018 - che lo ha voluto come ospite d'onore - sono accorsi giovani studenti di design da mezzo mondo, la cui unica aspirazione è quella di diventare come lui. 

Kyle Cooper, il genio dei titoli di testa

La master class tenutasi al Palacinema di Locarno dovrebbe essere un incontro col pubblico dialogato, ma si trasforma ben presto in un monologo del designer e creativo, che rapisce tutti i presenti con un montaggio lunghissimo e stupefacente del suo lavoro, che consta ad oggi di oltre 350 progetti cinematografici, televisivi e videoludici. Il suo portfolio comprende loghi, promo, incipit, titoli di testa e tantissimo altro. Un'arte che è stata fino a poco tempo fa ignorata e sottovalutata dagli studios, dai registi e dagli addetti ai lavori. 

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A nobilitarla e renderla desiderabile ci ha pensato questo solido padre di famiglia statunitense, timorato di Dio e dai granitici valori tradizionali: lavoro, casa, famiglia, chiesa. Eppure non ha esitato a bruciare bandiere, distruggere dollari e altri simboli americani, coprire la figlia di sangue e dare fuoco a foto di infanti, in nome della sua arte. 

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Spesso pensano che sia una persona cupa, un vero dark: la realtà è che quando mi chiedono di mettere a disagio o spaventare il pubblico, il primo su cui devo ottenere questo effetto sono io. 

Kyle Cooper non nasce come designer, anzi, finisce a Yale a studiare tipografia e design quasi per caso. Quando un'azienda di grafica lo assume come stagista, rimane affascinato dai caratteri tipografici e comincia a notare come vengano utilizzati nei titoli di testa di serie televisive e film. Non mancavano nemmeno all'epoca vere e proprie sequenze iconiche rimaste nella storia, ma la lavorazione era molto artigianale e spesso il risultato trasandato. 

Elisa Giudici
Il designer Kyle Cooper
Il designer Kyle Cooper durante la master class tenuta a Locarno 71

Cooper capisce di aver trovato una nicchia da innovare e rivela il suo desiderio ai colleghi, che gli consigliano di trovare un modo per arrivare all'università Yale per studiare i rudimenti di regia, fotografia, tipografia e design. Per un giovane ventenne con la madre in coma dopo un'incidente stradale è un'impresa ardua, ma ecco che dopo qualche mese Cooper riesce a essere ammesso e anzi, s'infila continuamente nella lezioni degli alunni del secondo anno, tenute da un titano del settore come Paul Rand. Designer di titoli, loghi e copertine tra i più noti di sempre, il maestro esorta l'allievo a "non fare come faccio, ma come dico", per non copiarlo e per trovare il suo stile. 

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Kyle Cooper sotto la sua guida comincia ad ottenere le prime commesse e a stupire gli studios con soluzioni brillanti, che non passano inosservate ma che anzi nobilitano i film che seguono i suoi titoli. Da subito i grandi cineasti lo mettono alla prova:

Ricordo che Guillermo Del Toro per Mimic voleva che perforassi un insetto con uno spillo in maniera ben visibile, ma avevo sul set un'inviata della protezione animali e due giorni per girare tutto. Finii per costruire un microscopico congegno che sembrava trapassare da parte a parte l'animale per non scontentare nessuno. Siccome avevo troppo poco materiale per coprire il minutaggio,  

Dopo tanti lavori limitati dallo scarso interesse degli studios e dal budget, arriva sulla scena un perfezionista come David Fincher, che esige il massimo sforzo da Cooper e la collaborazione più attiva dello studios. La sequenza iniziale che ne risulta scuote l'immaginario collettivo. Quel mix di materiale fotografico strappato, graffiato e danneggiato ripreso con piglio disturbante e sinistro da Kyle Cooper - che giustappone fotografia e girato - riporta l'attenzione sull'arte dei titoli, diventando un vero e proprio classico. Tanto che, qualche tempo dopo, sarà Ben Stiller a chiedere a Kyle Cooper di realizzarne una parodia da inserire in un suo film.

Se7en diventa un vero e proprio classico, proiettando Cooper e la sua compagnia Imaginary Forces nell'Olimpo, di fatto accendendo i riflettori sull'ennesimo dettaglio artigianale che può rendere un film ancor più efficace e memorabile. Cooper si ritroverà però ben presto ad abbandonare la compagnia che ha fondato e i collaboratori che ha contribuito a formare. Questo significa dover competere con l'agenzia da lui avviata e con le sue rivali da solo, dallo studio di casa sua. Quello che conta è l'idea, dice Cooper. Così per Wimbledon è riuscito a sbaragliare la concorrenza: con un'idea geniale ed efficacissima, di semplice realizzazione, assemblata in un paio d'ore nel suo studio di casa. 

Cooper è un vero creativo, investito da lampi di genio e idee fulminanti. Accade per esempio che mentre elabora i titoli di Final Destination 5 (i primi pensati per sfruttare l'effetto 3D per raccontare le morti improvvise dei protagonisti) si trovi in uno studio con uno scantinato, l'unico in grado di riprendere un vetro distrutto da oggetti che cadono dall'alto verso la telecamera posta in basso, sotto il livello del pavimento calpestabile.

A un certo punto Cooper realizza che nello scantinato in cui sta girando l'ambiente è oscuro, trasandato, sinistro. In altre parole, perfetto per le atmosfere di una serie TV a cui sta lavorando Ryan Murphy, ancora alla ricerca della opening adatta. 

Cooper non è ancora nemmeno contattato, ma spedisce un collaboratore a recuperargli una cinepresa adatta e comincia a girare con l'obiettivo rasoterra, nascondendosi lui stesso dietro lenzuola e barattoli, per proiettare delle ombre. L'intento è quello di rendere il punto di vista dell'entità protagonista della prima serie, una persona di giovane età rinchiusa in un luogo da incubo, oscuro e sinistro.

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Era il posto perfetto per raccontare il punto di vista dell'entità protagonista della prima stagione. A Murphy - divenuto nel frattempo un cliente fisso e un amico - il suo lavoro piacque così tanto da interpellarlo per tutte le stagioni successive, compresa l'ultima andata in onda, la settima.

Cooper spiega che la sua ultima creatura è figlia del clima di paura seguito all'elezione del presidente Trump, a cui ha accostato visioni considerate sinistre come quelle dei clown. Poi ride, indica divertito una ragazza presente in sala e spiega: 

Lei è mia figlia. L'ho coperta di sangue insieme al suo ragazzo e li ho ripresi mentre si baciavano. Sono proprio loro quelli che vedete nel montaggio finale. Mia moglie si è arrabbia moltissimo per questo.

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