Homeland svela i suoi segreti, dalla CIA a Snowden e Donald Trump

Autore: Chiara Poli ,

A meno di un mese dal debutto statunitense della sua ottava e ultima stagione, #Homeland svela i segreti della sua realizzazione in un documento esclusivo pubblicato da Hollywood Reporter.

Creata nel 2011 da Alex Gansa e Howard Gordon (24, X-Files), Homeland - Caccia alla spia (questo il sottotitolo italiano) ha conquistato finora 5 Golden Globes e 8 Emmy Awards, oltre a una sfilza di altri premi.

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Inizialmente incentrata sul sospetto che il personaggio di Damian Lewis, Nicholas Brody, ex prigioniero di guerra, sia diventato un terrorista che rappresenta una minaccia sul suolo americano, la serie ha dovuto e saputo reinventarsi dopo la decisione di eliminare Brody e puntare tutto su Carrie Mathison (#Claire Danes).

L'agente della CIA, affetta da disturbo bipolare, che aveva indagato su Brody finendo per lasciarsi coinvolgere sentimentalmente ci ha regalato una magistrale prova da parte di Claire Danes, vincitrice di 5 Golden Globes come migliore attrice, di cui 3 per il ruolo di Carrie.

Grazie a Carrie, al suo rapporto con il mentore Saul Berenson (#Mandy Patinkin) e a quello con il collega Peter Quinn (Rupert Friend), Homeland è andata avanti senza mai perdere in qualità per raccontarci le delicate storie di spionaggio, potenziali (e non) attacchi terroristici e complotti da deep state nel mondo di oggi.

La ragione del suo successo, oltre a un cast eccezionale, sta proprio nella verosimiglianza della narrazione: tutto è stato costruito con attenti studi sul fenomeno dello spionaggio, del terrorismo, del complotto governativo teso a nascondere perfino ai governanti stessi alcune situazioni o decisioni.

Tutto questo è stato reso possibile dalla consulenza fornita da ex agenti della CIA alla produzione, ma ora scopriamo che c'è stato anche molto di più.

L'intelligence e il contatto con Edward Snowden

Dopo l'uscita di scena di Brody, con la necessità di trasformare Carrie nell'unica protagonista della serie, si rese necessario concentrarsi sulla situazione internazionale, sulle potenziali minacce, sulla realtà dell'intelligence americana per avere buoni spunti narrativi da sottoporre al pubblico.

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L'ex agente della CIA John McGaffin, consulente di produzione, racconta:

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La serie era molto popolare tra i funzionari dell'intelligence e sono diventati sempre più desiderosi di aiutarci. Così ho preso accordi con il City Tavern Club, uno dei più antichi club privati di Georgetown frequentati da molti ex membri della CIA, che avremmo assunto.

Ex membri della CIA, ambasciatori, ex militari, giornalisti, ufficiali dell'intelligence di ogni genere si sarebbero seduti con gli scrittori, Lesli, Alex, Howard, Mandy e Claire. E a ogni fonte che arrivava, ho detto che era lì per rispondere a questa domanda: "Quali sono i problemi di sicurezza nazionale che potrebbero fare il culo all'apparato di sicurezza nel prossimo anno?"

Aggiunge il regista e produttore Lesli Linka Glatter:

Avevamo il generale Michael Hayden, il tizio della guerra in Iraq che si occupava di esecuzioni, siti neri e tecniche di tortura potenziate - quindi, per me, era il diavolo - che interveniva subito dopo Dana Priest, che ha vinto il Premio Pulitzer per aver scritto il libro che metteva tutti a conoscenza di esecuzioni, siti neri e tecniche di tortura potenziate.

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Incontri non facili da gestire, così ravvicinati. Lo racconta il creatore e produttore Alex Gansa:

Dovevamo inventarci il modo per far passare Hayden giù da una rampa di scale e la Pirest su per un'altra rampa di scale perché non volevi che s'incontrassero. C'era così tanta ostilità...

McGaffin racconta delle chiamate su Skype con due agenti esperti del Mossad a Tel Aviv, per avere informazioni dettagliate sul lavoro delle spie con gli iraniani.

Poi, un giorno, il vincitore del Premio Pulitzer Bart Gellman disse a Gansa che avrebbe portato un ospite.

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Si presenta con il suo laptop, lo apre, fa un numero o che so io, e la cosa che sappiamo è che stiamo parlando con Ed Snowden a Mosca. Un ragazzo molto strano. Ma questo era prima che parlasse con qualcuno.

Mandy Patinkin aggiunge:

Sapevi che tutti alla CIA, alla FBI e al GRU in Russia stavano ascoltando. Lo sapevi e basta. Mi sono fatto il culo per convincerlo a parlare di cose personali, ma non siamo riusciti a smuoverlo dalla sua scatola.

Effetti collaterali, attualità e Donald Trump

E poi, naturalmente, ci sono un'infinità di malintesi. Come quelli che capitano puntualmente a Glatter:

Per essere sicuro che le riprese fossero corrette, ho cercato i video più scottanti: impiccagioni pubbliche a Teheran, come emigrare all'ISIS, video jihadisti, decapitazioni. E li ho scaricato sul mio computer di casa, come un idiota, e ora vengo perquisito ogni volta che passo a Heathrow.

Il più scottante legame con l'attualità, non cercato, viene raccontato da McGaffin:

In un altro campo di spionaggio, dissi a tutti quelli che stavano arrivando che il loro compito era di far capire agli sceneggiatori quanto fosse seria la minaccia di interferenze elettorali russe. Ci abbiamo fatto un'intera stagione [la sesta, n.d.r.] prima che qualcuno ne parlasse.

Ricorda Alex Gansa:

Quando è stato eletto Trump, all'improvviso non abbiamo dovuto più portare queste persone attraverso ingressi separati. La stampa e il deep state, se si vuole chiamarlo così, sono stati entrambi spaventati da questo presidente.

Lesli Linka Glatter:

I nostri consiglieri hanno affermato che ogni presidente eletto che arriva per il primo briefing sull'intelligence viene travolto dall'enormità del compito. Pensavano di aver capito cosa stava succedendo nel mondo, ma quando ti viene detto cosa sta succedendo a livello riservato, si rendono conto di quanto sia grande il lavoro. Ciò non è accaduto con Trump.

E non è finita qui. Sentite cosa racconta lo sceneggiatore Chip Johannessen:

C'era tutta questa roba di Trump di cui abbiamo sentito parlare - connessioni russe, riciclaggio di denaro nei suoi posti in Florida. Alcuni di essi sono diventati pubblici durante le cose di [James] Comey, ma molti no, e tu sei seduto lì a chiederti "Perché no?".

E ancora, Alex Gansa:

Una cosa che abbiamo imparato è che mantieni la politica estera americana coerente da un'amministrazione all'altra. La cosa peggiore che puoi fare è tornare indietro, come dire di no all'accordo sui cambiamenti climatici o al trattato sull'Iran. Questo è un anatema per la comunità dell'intelligence perché scuote la barca. Nessuno si fida di noi all'estero.

La questione islamofobia

I terribili attacchi terroristici del 2015 a Parigi costrinsero la produzione a riassettare il ritratto del mondo musulmano che era stato fatto dalla serie.

I due co-creatori e produttori Alex Gansa e Howard Gordon hanno parlato a lungo dell'argomento. Ecco le loro dichiarazioni salienti. Gansa:

Durante la quinta stagione, mi sono svegliato alle 4:30 del mattino per una chiamata in preda al panico dalla Germania. Siamo stati presi a pugni da un gruppo di artisti tedesco-musulmani che avevamo ingaggiato per fare i graffiti per il nostro set di campi profughi. Alcuni di essi, in arabo, dicevano cose come "La patria è razzista" e "La patria è un'anguria".

Gordon:

Abbiamo fatto di tutto per ritrarre personaggi musulmani che avessero una vasta gamma di opinioni sul mondo.

E poi arrivò la notizia degli attacchi di Parigi. Gansa si trovava su un aereo diretto appunto in Germania, per filmare un attacco terroristico contro una stazione ferroviaria di Berlino. Claire Danes rimase molto colpita dai fatti di Parigi, e Glatter ha pensato che fosse giusto prendersi un momento per ragionare razionalmente sui fatti che avevano turbato l'intero cast tecnico e artistico.

Claire Danes:

C'erano sempre dei parallelismi del genere - ma i bombardamenti e le sparatorie a Parigi, questo è ciò che mi ha resa nervosa. Non sapevo che avrebbero sempre rispecchiato gli eventi attuali così direttamente, che sarebbe stata una parte del DNA della serie.

Glatter:

Ne abbiamo parlato, abbiamo avuto un momento di rispetto per le persone che erano state perse. Era molto importante che tutti fossero consapevoli e si prendessero cura l'uno dell'altro.

Aggiunge Alex Gansa:

Perché gli attori erano tipo "Perché lo stiamo facendo? Stiamo perpetrando gli stereotipi?" Anche se l'eroe di quella particolare storia era un ragazzo musulmano che ha fermato l'attacco, stava accadendo proprio accanto a noi, ed era ancora così crudo. Se avessi dovuto ricominciare da capo, sapendo cosa era successo a Parigi, avremmo raccontato una storia diversa - ma eravamo in un punto in cui non si poteva tornare indietro. Ma ha davvero influenzato le tre stagioni successive perché siamo tornati negli Stati Uniti.

Conclude il suo pensiero Howard Gordon:

E semmai, hai mostrato la putrefazione all'interno [dell'America, n.d.r.] da quella iper-correzione.

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La fine di Homeland, la fine di un'era

Gansa e Gordon non hanno dubbi a riguardo: se avessero dato vita a questa serie oggi, sarebbero stati messi alla gogna.

Quando si racconta qualcosa che prende spunto dalla realtà e che, come nel caso di Homeland e delle interferenze nelle elezioni, finisce per avere un riscontro reale passando dallo schermo al mondo reale, tutto diventa una sfida. Bisogna calibrare ogni mossa, fare attenzione a ogni singola parola, mantenere la coerenza e la fedeltà allo spirito narrativo ma anche rispettare la visione di tutti.

Nella parte finale delle moltissime dichiarazioni raccolte da Hollywood Reporter, cast e produttori parlando della scelta di concludere l'avventura di Homeland.

Mentre Alex Gansa racconta come, francamente, l'avvento di Donald Trump avesse fornito "vento fresco alle loro vele" per la creazione di nuove stagioni - com'è accaduto negli ultimi anni - il Presidente di Fox 21 Television Studios, Bert Salke, racconta:

La serie richiedeva denaro in base alla grandezza della produzione che è diventata. Quando Alex e Howard vogliono girare l'ultima stagione in Medio Oriente, non lo fai a Barstow. Vai in Marocco.

Alex Gansa:

Pensavamo che saremmo andati a raccontare un'ultima storia di Carrie Mathison facendo ciò che lei era stata addestrata a fare da ufficiale all'estero. Quindi, siamo tornati all'estero ancora una volta.

Ed è qui che l'ultima stagione di Homeland è stata girata: in Marocco, con il pieno supporto dell'esercito del Paese. E con un budget che è arrivato a superare i 6 milioni di dollari a episodio, che erano 3 nella prima stagione. La sola Danes prende 500.000 dollari a episodio. Tanto per renderci conto di quella grandezza di cui parla Bert Salke.

Per le ultime riprese, il cast è rientrato negli Stati Uniti. Prima a Northridge, in California, e poi a Los Angeles. Per rendere omaggio a grandi interpretazioni, a un cast che negli anni è diventato una famiglia, a una serie che ha raccontato storie fittizie ma così verosimili e ben studiate che hanno finito per agganciarsi involontariamente alla realtà.

In un mondo sempre più complesso... e che senz'altro sentirà la mancanza di Carrie Mathison. 

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