Hotel Gagarin, la recensione del film con Argentero, Bobulova e Amendola

Autore: Emanuele Zambon ,

Se vuoi essere felice, comincia. Tra le nevi armene il pensiero di Tolstoj prende vita e si insinua nelle vite fallimentari di un gruppetto di italiani giunti sul posto con l'obiettivo di girare un film. Accade in Hotel Gagarin, commedia sgangherata e per nulla priva di spunti originali diretta da Simone Spada, al suo esordio dietro la macchina da presa di un lungometraggio.

Una storia di rinascita e speranza in cui si fanno largo frammenti di metacinema, parentesi fantastiche e un'idea di cinema come fabbrica dei sogni capace di esaudire le richieste di tutti, romantici e disillusi che siano.

Prendi i soldi e scappa

Hotel Gagarin si divide nettamente in due parti: inizia come una farsa incentrata su un piano truffaldino - quello escogitato dal ciarlatano maneggione Franco Paradiso (lo interpreta Tommaso Ragno) - ma nel corso dei minuti prende il sopravvento una riflessione amara sul nostro, disgraziato, Paese, unitamente alla poetica sognatrice del regista, dispensatore di buoni sentimenti un po' come il suo alter ego nel film, il prof. Nicola Speranza di Giuseppe Battiston scelto dalla inesistente "Tindaro Film" come regista della pellicola.

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Cinque italiani, spiantati e in cerca di un’occasione, vengono raggirati da uno pseudo produttore cinematografico e da questi spediti a girare un film in Armenia. Tra loro vi sono un elettricista squattrinato (Claudio Amendola), una prostituta ingaggiata come protagonista del film (Silvia D'Amico), un operatore di ripresa in fissa per le canne (Luca Argentero) e la responsabile di produzione - d'accordo col "sòla" producer - Barbora Bobulova.

Giunti sul posto, i miserabili devono fare i conti con lo scoppio di una guerra mentre il sedicente produttore sparisce con i soldi ottenuti dai finanziamenti. Abbandonati all’Hotel Gagarin che dà il titolo al film (quello vero), isolato tra i boschi e circondato dalla neve, trovano il modo di inventarsi un’originale e inaspettata occasione di felicità che non potranno mai dimenticare.

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Andrea Miconi
Giuseppe Battiston in una scena del film

Hotel Gagarin paga il suo debito alla commedia all'italiana (ma anche al cinema del Salvatores anni '90 o del Veronesi de Il barbiere di Rio passando per Figli delle stelle) scegliendo come ambientazione l'Armenia, terra che evoca il fascino di un passato bucolico, come luogo in cui far lievitare le vicende. Tra corse su quadrupedi, puntate a vetuste centrali nucleari in disuso e sopralluoghi nelle pittoresche zone del posto, la macchina da presa si affeziona però all'Hotel dove la troupe (si fa per dire) si trova a soggiornare causa forza maggiore.

Una location, quella del Gagarin (lontano parente del Grand Budapest di Wes Anderson), decadente e gloriosa, luogo ideale per una fuga dalla realtà sospesa tra immaginario e terreno. Proprio l'albergo accoglierà gli abitanti del villaggio vicino, accorsi lì perché convinti che la "prestigiosa" troupe sia in grado di realizzare i loro sogni attraverso la magia del cinema.

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Hotel Gagarin è un film che palesa personaggi un pelo più sfigati di Fantozzi (non è un caso che il protagonista, Battiston, citi le meraviglie dell'Arca russa di Sokurov come farebbe il Riccardelli del secondo tragico film di Villaggio) alle prese con un piano B inaspettato e non certo voluto (diversamente quindi da Noi e la Giulia, da cui il film di Spada eredita alcuni dei protagonisti).

Una commedia che è allo stesso tempo on the road e statica, romantica e crepuscolare e che sicuramente pecca in ingenuità (se solo il regista avesse osato con la "cattiveria") ma che si ritaglia momenti di autentica suggestione esaltati dalla fotografia splendida - specie in certi passaggi - di Maurizio Calvesi. Un film che, al di là di alcune forzature nello script, ci ricorda l'importanza di sognare nonostante le difficoltà - è l'elemento fantastico del film, Philippe Leroy, a farsi portavoce del messaggio - e che omaggia il mito di astronauti, cowboy e Humphrey Bogart.

Commento

cpop.it

60

Il primo lungometraggio di Simone Spada racconta, tra le nevi armene, una storia di rinascita che vede protagonisti cinque perdenti. Qualche ingenuità e buoni spunti a condire una commedia amara.

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