I morti non muoiono, la recensione: Jim Jarmusch è l'ombra di sé stesso

Autore: Elisa Giudici ,

Chissà come ci si sente ad essere Steven Soderbergh o Jim Jarmusch. Chissà che sensazione dà poter alzare la cornetta del telefono, consultare una rubrica con dentro i nomi e i numeri di telefono di mezza Hollywood - sia sul versante glamour, sia sul versante indie e impegnato - è dire all'incirca "Ciao, sono Jim, ho questo nuovo film sugli zombie che bolle in pentola, vuoi una parte?" e sentirsi rispondere di sì. Risposta affermativa anche da grandi attori in parti minuscole da comparsa a chiamata, da personalità al di fuori dal "giro cinematografico" come Selena Gomez e Iggy Pop, potendosi consentire il capriccio di portare sempre con sé come feticcio e porta fortuna attori come Bill Murray e Tilda Swinton. 

Non stupisce che un film del genere sia riuscito da solo a riempire il tappeto rosso inaugurale dell'ultima edizione del Festival di Cannes, di una Croisette che è parsa disperatamente alla ricerca di un tocco glamour hollywoodiano, tanto da genuflettersi di fronte a un Tarantino che non aveva poi bisogno di un passaggio a Cannes per lanciare il suo ultimo film. In passato il Festival non si è fatto problemi ad aprire con pellicole francesi e autoriali (a dire il vero anche assai mediocri), nel pieno dell'arroganza di un evento che sa di essere imprescindibile, qualunque cosa faccia.

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Iggy Pop in versione zombie in una scena del film
Occhio alle guest star in versione umana e zombie

Quest'anno Cannes era alla ricerca di solide sicurezze hollywoodiane. La sorpresa amara è che I morti non tornano, il nuovo film di Jim Jarmusch sulla carta capace di sintetizzare arie indie e esigenze glamour, si è rimediato altrettanto mediocre. 

Un'asfissiante ironia

Le premesse erano già quelle di un ritorno al passato. D'altronde è già da tempo che Jim Jarmusch guarda alle sue spalle, rifacendo, ripetendo e ripercorrendo le orme del suo cinema di un tempo, quando era davvero un nome contro il sistema. Stavolta è invece il sistema a fornire al regista di Solo gli amanti sopravvivono i mezzi per presentarsi in piena forma, con una produzione all'altezza, che nulla ha dà invidiare a un film da studios, anzi, con un cast ancora più roboante. Accanto alle muse di sempre Tilda Swinton e Bill Murray, troviamo quello che è il volto del cinema indipendente americano odierno; Adam Driver. Il suo passaggio in un franchise come Star Wars (a cui si fa divertito riferimento nel film come un "bella opera di finzione") non ne hanno intaccato l'allure indie e quindi eccolo qui nel ruolo di Ronnie, distaccato poliziotto di Clearville, "un posto molto carino".

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Siamo ancora dalle parti della tranquilla cittadina di provincia americana: Clearville non raggiunge gli 800 abitanti, può vantare un unico diner, un negozio di ferramenta, un negozietto di dolciumi e oggetti nerd e l'immancabile carcere minorile. La cittadina dove si scatena l'invasione zombie è quindi disegnata con una certa qual ironia che permea questo genere di pellicole, che fanno della vena zombie lo spartiacque tra contenuto horror e surreale riflessione politica e sociale sui tempi che corrono. L'ironia qui però è così presente, così consapevole e così esibita da risultare asfissiante

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Tilda Swinton sfodera la sua katana
Tilda Swinton qui incarna un personaggio che più che strambo si potrebbe definire inutile

Il film ci impiega parecchio a presentarci i suoi personaggi e a predisporre tutto il contesto ideale per far risorgere i morti, tanto da venire percepito come ben più lungo di quanto in realtà sia. Non è una dilatazione surreale ma efficace come quella di L'alba dei morti dementi, senza nemmeno scomodare Romero (che qui viene palesemente e a più riprese citato). Alla fine Jim Jarmusch gira tanto attorno a un messaggio che è più che ricorrente nel genere: siamo morti dentro ben prima di trasformarci in non morti, consumati da desideri frivoli dettati dal capitalismo. Laddove però film come quello di Edgar Wright hanno saputo fare qualcosa di nuovo o quantomeno essere brillanti, qui si sfodera un infinito repertorio di passaggi rimasticati dal proprio stesso cinema. Definire autoreferenziale I morti non muiono è quasi riduttivo.

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Questa attitudine cannibalista non fa bene a Jim Jarmusch, che si dimostra anche sciatto nello scrivere il copione. Per dare tempo ai suoi personaggi di picconare la quarta parete (in maniera più non sense che surreale) e per crogiolarsi in una marea di riferimenti meta, il film non porta a conclusione una miriade di discorsi imbastiti e poi messi da parte. Per fare un esempio: perché inserire i personaggi dei tre ragazzi detenuti nel carcere minorile se poi non si dedica loro tempo, abbandonandoli brutalmente al loro destino? Allo stesso modo si fatica a trovare un senso nell'introduzione dei tre allegri ragazzi di hipster di Cleveland, che non sembrano poi tanto più riprovevoli del cittadino medio di Clearville. 

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Gli allegri ragazzi hipster di I morti non muoiono
Irridendo le manie hipster dei tre ragazzi di Cleveland, Jim Jarmusch inconsapevolmente irride anche il suo cinema

Jim Jarmusch qui sembra davvero soccombere ai difetti che vorrebbe stigmatizzare, rivelandosi insopportabilmente ombelicale, pieno di sé anche quando completamente a corto di cose interessanti da dire, se non nuove quantomeno ben strutturate e argomentate. Insomma, I morti non muoiono vive dell'effimera linfa di qualche battuta ad effetto (tra l'altro reiterata e ripetuta a dismisura) e del suo cast scintillante, ma cinematograficamente parlando lascia dietro di sé solo una grande confusione. 

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I morti non muoiono sarà nelle sale italiane a partire dal 13 giugno 2019.

Commento

cpop.it

45

Autoreferenziale e compiaciuto almeno quanto il tipo umano che irride, sembra un progetto sviluppato da e per un gruppo di amici, senza alcun interesse per lo spettatore. Jarmusch può fare di meglio.

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