Il buco, la recensione del film brutale horror spagnolo sulla profondità dell'egoismo umano

Autore: Elisa Giudici ,

Non ci va molto per il sottile il regista spagnolo Galder Gaztelu-Urrutia: per esordire al cinema sceglie una storia che non fa mistero del suo messaggio e delle sue intenzioni, dichiarando ad alta voce il punto del film sin dalle battute iniziali. Scritto da David Desola e Pedro Rivero, Il buco si presenta come il classico film horror a basso budget e con una lunghissima lista di produttori indipendenti, che fa di necessità virtù, ponendo una serie di semplici regole per la sua ambientazione più che spartana e minimale. 

A leggere la trama non si può che pensare a Il condominio, iconico romanzo del 1975 a firma scrittore J. G. Ballard, portato ad estreme e radicali conseguenze. Ci troviamo in una sorta di grattacielo senza finestre, in un luogo e un tempo imprecisati. Ogni piano ha due letti, due lavabi e orinatoi, un numero scritto sulla parete e un buco quadrato sul pavimento. Una volta al giorno dal piano zero posto sulla cima scende una piattaforma quadrata e si ferma al centro di ogni livello per qualche minuto. Alla partenza presenta un luculliano banchetto, ricchissimo di pietanze realizzate con la massima cura.

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Uno dei protagonisti legge mentre brandisce un coltello
Il libro è un'arma tanto quanto il coltello, ma è semplice capire perché in tanti entrino armati nella torre

A ogni piano le due persone residenti si cibano e poi vedono la piattaforma scendere. Non è possibile trattenere del cibo senza rischiare la morte dopo che la piattaforma è passata oltre. La coppia di coinquilini è fissa, almeno finché uno dei due non muore. La residenza a un piano dura per 30 giorni, poi tutti gli abitanti dell'edificio vengono addormentati e si svegliano nel nuovo piano, la cui posizione sembra essere scelta casualmente: un comportamento virtuoso o uno particolarmente deprecabile non sembrano influire su dove si finirà il mese successivo. 

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Esistono una serie di altre regole e corollari, ma questa è la semplice dinamica della pellicola. Il cibo sulla piattaforma consente di sfamare un numero variabile e non preciso di piani, ma una cosa è certa: i piani sono numerosissimi e sotto c'è sempre qualcuno costretto a fare la fame. Soprattutto perché chi si trova nei primi cinquanta piani (quelli che riescono a sfamarsi ogni giorno) mangia ben oltre la propria razione o vandalizza il cibo. Il risultato è che oltre il centesimo piano la situazione è disperata. Una scelta particolarmente efficace del film è quella che scopriamo insieme al protagonista Goreng (Ivan Massagué) al risveglio dopo il primo cambio di piano. All'inizio del primo giorno la torre è percorsa dalle urla di autentica disperazione di chi si è svegliato in un livello in cui la sopravvivenza è quasi di certo preclusa, anche ricorrendo alla violenza. 

Il buco: il pozzo senza fondo dell'avidità umana 

Non è che ci giri molto intorno, né con la sua sceneggiatura né tantomeno con la scenografia con cui il film si presenta. Il buco è sin dal primo minuto un'allegoria piuttosto spinta dal sistema verticalizzato della capitalista. Il film è così diretto a riguardo che lo urla in faccia allo spettatore, piazzando al fianco di Goreng il suo personale Virgilio, un anziano di nome Trimagasi (Zorion Eguileor) che gli spiegherà velocemente non solo le regole del luogo (in cui il protagonista è entrato volontariamente) ma anche le logiche sotterranee che corrono tra piani. 

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Ci sono tre tipi di uomini - postula l'anziano compagno di Goreng: chi sta sopra, chi sta sotto e chi cade. Goreng entra in questo luogo con davanti a sé la prospettiva di un soggiorno breve e dentro di sé la convinzione che sia possibile trovare una soluzione per far funzionare il sistema, evitando le sue derive più drammatiche. Prevedibilmente il suo viaggio nelle profondità dell'edificio (e dell'animo umano) lo costringerà più volte a confrontarsi con la debolezza delle sue idee e la superficialità delle sue convinzioni. Qualcosa di simile succede anche al film, soprattutto nelle sue fasi avanzate.

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La piattaforma di Il buco scende piano dopo piano
La vera domanda è se la piattaforma possa davvero sfamare tutti gli abitanti della torre

Sul fronte prettamente horror, Il buco funziona fino al gran finale. Ci sono abbastanza colpi di scena e verità disattese (ma non in maniera truffaldina) da garantire la tenuta orrorifica del film fino alla sua chiusa. Galder Gaztelu-Urrutia si dimostra un regista molto capace, in grado di sfruttare i movimenti prevedibili della piattaforma e quelli limitati dei protagonisti in uno spazio confinato per creare un dinamismo inaspettato. Anche quando il film ritrae scene terribili (pensate per un pubblico adulto e non facilmente impressionabile) lo fa con una certa eleganza. 

L'abisso senza soluzione del capitalismo

Al pari del protagonista Goreng, la sceneggiatura viene posta di fronte a un problema enorme, di cui non è possibile conoscere con precisione né la portata o né l'esistenza stessa di una soluzione. Se per Il buco è facile impostare un'allegoria del capitalismo contemporaneo, dove pochi consumano più risorse di quelle necessarie incuranti delle urla di chi è costretto a uccidere per sopravvivere o proprio non ha alcuna chance di farcela, risulta meno semplice trovare una risposta. Anche rimanendo entro gli stretti confini dell'edificio dove si muove Goreng, anche rispettando i confini della metafora, Il buco trasmette soprattutto l'inadeguatezza delle soluzioni possibili che una mente umana può concepire. La coercizione, la logica, la solidarietà, la minaccia: niente sembra davvero in grado di funzionare. 

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Più si avvicina alla sua conclusione più Il buco si sente mancare la terra sotto i piedi, perché anche il non dare una risposta equivale a suggerire una possibile soluzione. Alla fine esce dall'angolo in cui si stava per chiudere, cedendo però molto alla stretta logica a cui si era appoggiato son dall'inizio. L'allegoria diventa allora visione, il messaggio diventa puro simbolo. La riflessione più raggelante di un film mai sottile certo, ma non privo di elementi di riflessione, è che guardandosi attorno nel presente e nel realtà gli sceneggiatori e gli spettatori de Il buco una soluzione funzionante, pur infrangendo le regole, non riescono proprio a trovarla. Allora bisogna aggrapparsi alla speranza che basti un messaggio finale, un'immagine, perché chi di dovere capisca. 

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Goreng e il suo compagno osservano la piattaforma che scendere
Il buco esplora gli abissi più profondi dell'egoismo umano

Il problema Il buco se lo pone sin da subito: chi è il responsabile? La misteriosa Amministrazione che soprintende l'intero progetto? La collettività che vive nella torre, incapace di collaborare per garantire la sopravvivenza del maggior numero possibile di persone? Oppure il singolo, che dovrebbe agire secondo coscienza e tentare di essere il motore del cambiamento? Il fuori rimane sempre fuori fuoco ed è un vero peccato, dato che Goreng e il suo compagno se lo chiedono apertamente. L'esperienza nella torre è un esperimento per coltivare la speranza di un futuro sostenibile per tutti o è un ammonimento a quanti fuori, affinché non tentino di cambiare l'ordine stabilito? 

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Viviamo in tempi bizzarri e così sordi alla solidarietà che persino l'approccio da ariete con cui Il buco sfonda la porta tra reale e allegoria sembra tutto sommato proporzionato alla posta in gioco. Servirebbe ben altra sceneggiatura per arrivare non dico a una soluzione, ma a una conclusione che doni un po' di concretezza alla possibile strada da seguire. Con le sue immagini vagamente cristologiche e il suo protagonista armato solo di libro e di buone intenzioni, almeno un piccolo risultato Il buco lo porta a casa: è un film riuscito, che ti porta a guardare cosa hai nel piatto e cosa possiedi con un maggior senso di consapevolezza

Il buco Il buco In una prigione dove i detenuti dei piani superiori mangiano meglio di quelli sottostanti, un uomo si adopera perché le cose cambino e tutti ricevano cibo a sufficienza. Apri scheda

Il buco è disponibile su Netflix dal 20 marzo 2020

Commento

cpop.it

70

Il buco sceglie immagini forti per porre domande cruciali, ma sul fronte delle risposte riesce ad essere soddisfacente solo come horror puro, arrendendosi alla complessità del tema trattato.

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