Il nome della rosa: le differenze tra il libro e il film con Sean Connery

Autore: Alice Grisa ,

Tra i suoi libri, quello a cui Umberto Eco era meno legato era proprio Il nome della rosa, che rappresenta però il grande successo letterario e il film di cui tutti si ricordano, un vero cult.

Ambientato letteralmente nel secolo buio – l’abbazia è sprofondata in una coltre di nebbia e nuvole – questo romanzo racconta la sensazionale indagine di Guglielmo da Baskerville che, aiutato dal novizio Adso da Melk, trova la soluzione a un enigma, una catena di morti oscure.

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Il romanzo, edito da Bompiani, è del 1980. Tradotto in 45 lingue e venduto in 60 paesi, può considerarsi un grande best-seller. Il film di Jean-Jacques Annaud è invece del 1986 e schiera Sean Connery nel ruolo di Guglielmo e Christian Slater in quello di Adso. 

Entrambi hanno ricevuto premi prestigiosi, come il Premio Strega, diversi BAFTA, César, Nastri d’argento e David di Donatello. Entrambi hanno rappresentato un grande successo di pubblico.

Entrambi raccontato una vicenda che si svolge nell’arco di tempo di 7 giorni in una tetra abbazia benedettina della Congregazione Cluniacense, sperduta nel cuore del Piemonte e circondata dai campi dove i contadini, obbligati a versare dei pesanti tributi e il cibo raccolto al convento in cambio della salvezza della loro anima, muoiono di fame.

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Il nome della rosa

Il libro da cui è stato tratto il film con Sean Connery

Umberto Eco non ha mai preso le distanze dal film, ma non ha aderito alla sua realizzazione. Il legame esplicitato nei titoli di testa è famoso: “tratto dal palinsesto del Nome della Rosa di Umberto Eco”. Lo ha detto anche lo scrittore al Corriere della Sera del 12 ottobre 1986.

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Un palinsesto è un manoscritto che conteneva un testo originale e che è stato grattato per scrivervi sopra un altro testo. Si tratta dunque di due testi diversi.

Ma quali sono le principali differenze tra libro e film? 

Il nome della rosa Il nome della rosa Nell'autunno del 1327 giunge in un maestoso monastero italiano il francescano Guglielmo di Baskerville con il novizio Adso per un incontro tra domenicani, francescani e delegati papali. Morti misteriose si ... Apri scheda

Le dissertazioni filosofiche

Il motivo per cui l’illuminato Gugliemo e il suo novizio arrivano all’abbazia è prendere parte a una disputa sull’Ordine francescano, di cui i due protagonisti fanno parte.

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Questa è la miccia che fa scattare, nel testo, una serie di riflessioni, divagazioni, argomentazioni teologiche, teoretiche, filosofiche che si prestano bene al fluire delle parole su un testo ma non si sposano con una sceneggiatura, quella di Andrew Birkin, Gérard Brach, Howard Franklin e Alain Godard, che non punta a farcire l’atmosfera di parole ma preferisce lavorare sui silenzi, in sinergia con la fotografia spettrale (a cura di Tonino Delli Colli) e con i volti evanescenti dei monaci. 

Ecco perché i dialoghi sono ridotti all’osso nel film, rispetto al libro. È facile pensare che questa scelta porti a un impoverimento, ma non è così.

In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Questo era in principio presso Dio e compito del monaco fedele sarebbe ripetere ogni giorno con salmodiante umiltà l'unico immodificabile evento di cui si possa asserire l'incontrovertibile verità. Ma videmus nunc per speculum et in aenigmate e la verità, prima che faccia a faccia, si manifesta a tratti (ahi, quanto illeggibili) nell'errore del mondo, così che dobbiamo compitarne i fedeli segnacoli, anche là dove ci appaiono oscuri e quasi intessuti di una volontà del tutto intesa al male. 

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Letteratura e cinema sono due linguaggi diversi e si basano su sistemi diversi. Il cinema è sicuramente un’arte più visiva e ha puntato alla traduzione dell’atmosfera, dei pensieri e dei movimenti dei personaggi in qualcosa che rendesse l’idea del momento asfissiante e opprimente, oltre agli inquietanti percorsi dei monaci prigionieri di se stessi.

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Una scena de Il nome della rosa
Le dissertazioni di Guglielmo

Per chi volesse recuperare queste disquisizioni, il romanzo abbonda di dialoghi fioriti tra Guglielmo e l’abate, Guglielmo e Ubertino, Guglielmo e Jorge. Anche durante il processo ai presunti eretici c’è una forte componente dissertativa, che nel film non poteva rimanere per una questione di economia narrativa.

Le dissertazioni nel libro sono fondamentali, perché è attraverso questi ragionamenti che Guglielmo arriva alla soluzione del giallo.

Il nome della rosa

L’espediente narrativo della cornice, in cui un anziano Adso scrive tutta la sua storia, porta con sé anche il senso del titolo. La “cosa” viene prima del nome della “cosa”: “stat rosa pristine nomine” ovvero “la rosa esiste prima del suo nome”.

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Fa freddo nello scriptorium, il pollice mi duole. Lascio questa scrittura, non so per chi, non so più intorno a che cosa: stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus.

Questo sillogismo che dà il senso al titolo non appare nel film. Il concetto del nome è applicato, in senso lato, all’incontro di Adso con una ragazza del paese, di cui s’innamora perdutamente.

Dopo aver consumato un rapporto sessuale e dopo averla vista processare come strega e condannare al rogo, Adso prega la Madonna di salvarla. La ragazza miracolosamente sopravvive e chiede al novizio di rimanere con lei. Lui, però, alla fine rifiuta e riprende il proprio cammino con Guglielmo.

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Una scena de Il nome della rosa
A interpretare la ragazza è l'attrice cilena Valentina Vargas

Le ultime battute del film sono incentrate proprio su di lei, il grande amore di Adso.

Ma ora che sono molto, molto vecchio, mi rendo conto che di tutti i volti che dal passato mi ritornano alla mente, più chiaro di tutti, vedo quello della fanciulla che ha visitato tante volte i miei sogni di adulto e di vegliardo. Eppure, dell'unico amore terreno della mia vita non avevo saputo, né seppi mai il nome...

Le sfumature dei personaggi

I personaggi nel libro Il nome della rosa sono molto più ricchi di chiaroscuri. Nel film vengono invece esasperati all’eccesso, per puntare sull’impatto di quelli che appaiono a tutti gli effetti come dei freaks e i cui vizi e virtù sono catalogati in modo manicheo.

Buoni, malvagi, grotteschi, angelicati: questa è più o meno la macroframmentazione che disegna il film.

Nel romanzo invece c’è lo spazio per concedersi qualche cono d’ombra, il classico “beneficio del dubbio”.

Ad esempio Bernardo Gui è la personificazione dei disastri dei secoli bui, seguiti poi dalla Controriforma: i processi per eresia, l’avidità, le pire dove bruciare chi fosse sospettato di essere un nemico della chiesa.

Interpretato da F. Murray Abrham, appare nella pellicola come un uomo glaciale, duro e inflessibile. Nel romanzo invece c’è modo per indagare il rapporto tra lui e Guglielmo, più complesso di quanto appaia.

Se dal film traspare un certo rispetto (misto a disprezzo) di Gui per Guglielmo, nel libro la cosa era piuttosto reciproca. E poi nel libro non viene punito con la morte.

Anche la caratterizzazione dei personaggi minori è più lapidaria. Berengario esprime il suo potenziale con la mimica, il viso e i movimenti convulsi, senza parlare.

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Una scena de Il nome della rosa con Adso e Salvatore
Adso e il grottesco Salvatore

E poi mancano personaggi come Bencio da Uppsala o Nicola il mastro vetraio, che ricostruisce gli occhiali di Gugliemo. Assente anche l’anziano Alinardo, che cova rancore contro Jorge per averlo battuto prendendosi la carica di bibliotecario 50 anni prima.

Sempre nel libro Jorge racconta di avere avuto la meglio su Alinardo perché è riuscito a ottenere molti libri rari per l’abbazia.

Il contesto politico

Umberto Eco dedica molte pagine alla presentazione del quadro storico. Erano gli anni della lotta tra Papa Giovanni e l’imperatore Clemente del Sacro Romano Impero; la lotta per il potere hanno portato l’imperatore ad accusare il papa di essere un eretico, causando dissidi e spaccature tra i diversi ordini, alcuni dei quali vengono etichettati come eretici sulla base di diverse interpretazioni delle scritture.

Ad esempio i Dolciniti, ovvero i seguaci del predicatore dolcino (il monaco Salvatore).

La ragazza

La ragazza nel film acquista più importanza. Il libro si limita a descrivere l’incontro in cucina con Adso e il suo destino ormai segnato: verrà portata via e probabilmente arsa sul rogo.

Nel film invece Adso incontra la ragazza nei dintorni dell’abbazia, mentre lei, stremata per la fame e il freddo, cerca di procurarsi del cibo. Proprio il tentativo, coadiuvato da Salvatore, di impossessarsi di un galletto, la porterà a essere accusata di praticare magia nera.

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Una scena di Adso e la ragazza ne Il nome della rosa
Adso in intimità con la ragazza

Il film tende a “premiare i buoni o gli innocenti”: la ragazza si salva, grazie al colpo di scena dell’incendio in biblioteca, ma non corona il proprio lieto fine con Adso.

La biblioteca

La biblioteca nel film surclassa completamente quella del libro. È un vero labirinto, ispirato a un famoso disegno di Escher, che si trova su più piani ed è raggiungibile solo attraverso un passaggio segreto. 

La biblioteca è pericolosa e spettacolare: i due si perdono, durante la prima visita, e riescono a uscire rapidamente solo grazie ad Adso, che aveva legato un filo della propria veste a un tavolo.

Nel romanzo la biblioteca è meno maestosa e si colloca su un piano. È molto strutturata e piena di libri e scaffali, ma meno architettonicamente ambiziosa che quella del film.

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Della scenografia, non a caso, si è occupato il Premio Oscar Dante Ferretti.

Il sogno

Uno strano sogno di Adso rappresenta la chiave di volta per risolvere il mistero. Il ragazzo sogna una scena con mescolati personaggi biblici e moaci dell’abbazia. Sentendo il racconto, Guglielmo capisce che il novizio ha sognato una parte di Cena Cypriani, un libro satirico che probabilmente gli è rimasto stampato nella testa dopo averlo letto tempo prima. Guglielmo ricorda che questo libro era spesso accorpato alla Poetica di Aristotele per temi simili.

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Una scena de Il nome della rosa
L'abbazia si prepara ad accogliere Bernardo Gui

Cosa succede dopo il finale?

Il film e il libro sfociano in un finale comune: la partenza di William e Adso dall'abbazia. In seguito, racconta il romanzo, si saluteranno nella città natale di Adso. Adso racconta di non aver saputo più nulla del suo maestro, probabilmente morto per l’epidemia di peste che sarebbe scoppiata poco tempo dopo.

Da anziano, Adso torna all’abbazia ma non trova più nulla, solo rovine avvolte nella vegetazione. Ritrova solo la biblioteca e frammenti di libri che deciderà di portare con sé.

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La biblioteca de Il nome della rosa
La biblioteca dell'abbazia

La metafisica

Guglielmo, che come Sherlock Holmes sostiene il metodo della deduzione scientifica, è in un certo senso opposto (paradossalmente) al pensiero di un ordine governato da Dio.

In piccolo in questo dibattito si ritrova la soluzione del delitto: non c’è un assassino, un serial killer autore delle morti che abbiamo visto, ma queste sono frutto di una concatenazione di eventi. La conclusione mette in crisi Guglielmo, sostenitore come Ockham della contingenza della realtà e dell’antimetafisica, nonché della ricerca scientifica.

Alinardo lo spingerà sulla strada dell’Apocalisse, convinto che l’assassino agisca sulla base della letteratura dello squillare delle trombe. La prima tromba parla di grandine (e Adelmo viene ritrovato nella tempesta), la seconda fa diventare sangue la terza parte del mare (Venanzio è trovato in una tinozza di sangue di maiale), e così via.

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Una scena de Il nome della rosa
Gugliemo si renderà conto che la verità è diversa dalla sua pista induttiva

Alla fine però questa pista si rivela fallace e Guglielmo scopre che un ordine lineare non c’è.

Cercavo un autore di tutti i crimini ma alla fine ogni crimine aveva un autore diverso o forse nessuno.

Di questa interessante filosofia non c’è traccia nel film, in cui però si insiste nella fiducia di Guglielmo nella scienza e nel ragionamento logico-deduttivo.

Libro o film? Entrambi meritano, per motivi diversi: immaginare o vedere, tutte e due le azioni valgono la pena quando ci si trova davanti a maestri come Umberto Eco e Jean-Jacques Annaud.

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