Per chi non ha capito Il signor Diavolo: la spiegazione del film

Autore: Alessandro Zoppo ,

Il signor Diavolo è il ritorno di Pupi Avati all'horror, genere che il regista bolognese ha contribuito a ridefinire negli anni Settanta quando, memore dello spavento che gli procurava da bambino il ritratto dei coniugi Arnolfini di Jan van Eyck visto nello studio del nonno, ha girato il cult #La casa dalle finestre che ridono.

Stavolta alla base del film c'è l'omonimo libro di Avati pubblicato da Guanda Editore, un romanzo "del gotico maggiore" ambientato nel Nordest dei primi anni Cinquanta, un territorio intriso di cattolicesimo arcaico, tradizioni popolari e superstizione, dove si incrociano cultura contadina e misticismo primitivo.

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La storia nera scaturita dal libro è diventata un film torbido e coraggioso (specie per il periodo in cui è stato realizzato), volutamente soffocante e "non consolatorio", disturbante e a tratti persino respingente.

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Il romanzo di Pupi Avati

#Il signor Diavolo comincia in una stanza buia e piena di inquietanti bambole. In quella casa c'è una neonata che dorme, svegliata da una figura apparentemente angelica: un bambino in costume da principe azzurro. Il ragazzino si avvicina alla culla e sfodera una dentatura ferina, con la quale divora la piccola tra fiotti di sangue e grugniti selvaggi.

Qualche anno dopo, nel 1952, il giovane funzionario Furio Momentè (Gabriel Lo Giudice) viene inviato a Lio Piccolo, uno dei luoghi più suggestivi della laguna veneziana, dal Ministero di Grazia e Giustizia per il quale lavora. È strano: Momentè non ha mai ricevuto incarichi di prestigio. Perché hanno scelto proprio lui, quel burocrate "inetto, buono solo a riordinare i faldoni"?

Il settimo governo democristiano a guida De Gasperi spedisce Momentè in Veneto per indagare con estrema discrezione su un delitto scomodo: il quattordicenne Carlo Mongiorgi (Filippo Franchini) ha ucciso con la fionda il quasi coetaneo Emilio Vestri Musy (Lorenzo Salvatori). In lui, secondo Carlo, alberga il Diavolo in persona, anzi "il signor Diavolo", come gli ha insegnato il sagrestano Gino (Gianni Cavina). Non solo perché Emilio ha fattezze fisiche bestiali (deformità come le zanne affilate e le unghie biforcute) e ha fatto ammalare e morire il suo amico Paolino (Riccardo Claut), inducendolo con uno sgambetto a calpestare l'ostia consacrata nel giorno della Prima comunione. Ma perché in paese si dice che, in un raptus di gelosia, abbia sbranato a morsi la sorellina quando era ancora in fasce.

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Lorenzo Salvatori in una scena del film Il signor Diavolo
Emilio,

Le versioni dei fatti sull'omicidio commesso da Carlo sono diverse. Durante il viaggio in treno da Roma, con l'espediente narrativo dei flashback, Momentè rilegge attentamente le deposizioni, i risultati autoptici e le perizie balistiche. La sensazione è chiara: il Ministero lo ha spedito lì per insabbiare il caso, evitando scandali in una zona che è uno storico bacino di voti per la DC e grattacapi alla potente e facoltosa famiglia aristocratica Vestri Musy, dominata dalla matriarca Clara (Chiara Caselli).

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Nel corso delle sue indagini, Furio si trova davanti un intreccio di paure ataviche, racconti soprannaturali e distorsioni della fede, un miscuglio di sacro e profano che lo porta dritto ad un finale cupo, ambiguo e privo di speranza. Quel che vediamo è tutto vero o risiede soltanto nella testa del protagonista? Il piccolo Emilio è un feroce "verro demoniaco" deformato dalla scienza (la sua epilessia è stata "curata" con l'elettroshock) o una vittima della propria disabilità e del mondo che lo circonda?

Il finale e la sua spiegazione

"Mischiare le carte in tavola tra realtà e finzione" e "spacciare per falso ciò che è vero e viceversa" è sempre stato l'obiettivo di Pupi Avanti. Momenté viene richiamato a Roma perché ormai è compromesso: sta ficcando troppo il naso negli affari di quell'enclave preziosa della bassa padana. Ma vuole scoprire a tutti i costi il mistero che si cela dietro questa storia. Carlo è in libertà condizionale e ha insistito per far andare Momentè nella chiesa di Santa Maria della neve dal parroco don Dario (Lino Capolicchio) a cercare il sagrestano, l'unico a sapere cosa c'è nei sotterranei e al quale "non piace farsi trovare".

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Un frate ha detto al funzionario che non avrebbe mai dovuto accettare quest'incarico. Per quale motivo? Cosa si nasconde in quella chiesa? Nelle sue deposizioni Clara Vestri Musy accusa apertamente padre Amedeo (Alessandro Haber), che aveva praticato un esorcismo sul figlio, don Dario, Gino e suor Dolores, che hanno convinto Carlo a credere nella natura luciferina di Emilio.

Furio si accontenta di dormire nella sagrestia ma di notte è svegliato dal pianto di un bambino, che pare provenire dalla cripta. Sulle tracce di suor Dolores, ormai morta da un mese, Momentè trova infine Gino, che gli mostra il registro parrocchiale del 1943: su quel libro si legge che al precedente prete della chiesa sono stati consegnati "i resti straziati da orrende ferite di una bambina apparentemente di pochi mesi", contenuti in una cassetta della frutta e accompagnati da una lettera.

La missiva, indirizzata al vescovo, è firmata da Clara Vestri Musy e confermerebbe che il figlio è "la bestia". Gino confessa a Momentè che il giorno della morte di Emilio, lui, don Dario e il dottore hanno portato il dentista del paese ad analizzare le "zanne" del cadavere. "Il dentista, da quelle zanne, aveva capito perché la signora non voleva che nessuno dell'autopsia le vedesse", spiega Gino. Quel figlio lo aveva fatto davvero "con lo sperma di un maiale".

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Nel flashback col dentista, al corpo di Emilio sono rimossi i canini come nel mito del nachzehrer, il "divoratore della notte" che si credeva avesse diffuso la peste nella Venezia del XVII secolo e al quale andava chiusa la bocca con un sigillo, un paletto o un mattone per impedirgli di cibarsi. All'epoca, durante le epidemie, riaprire le sepolture recenti per deporvi altre vittime "facilitava l'incontro con corpi non totalmente decomposti che alimentavano il terrore e la superstizione della popolazione", spiega l'archeologo Matteo Borrini a Focus.

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La scena in cui vengono tolti i denti a Emilio nel film Il signor Diavolo
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Quando Clara arriva a Lio Piccolo, sputa in faccia a Carlo prima di lasciare la laguna in barca. Ora per Momenté resta solo la bambina: se può dimostrare al giudice che è stato Emilio a sbranarla, il caso è risolto. Il sagrestano Gino apre la botola della cripta ma non vuole più scendere lì sotto. La cassetta con il cadavere della piccola è ancora conservata nei sotterranei della chiesa.

Il funzionario scende la scala e aperto il contenitore fa una sconvolgente scoperta: il corpo della neonata è decomposto ma non porta segni di smembramento. La bimba è morta per cause naturali e non per i morsi di Emilio. La spaventosa dentatura della "bestia" è quindi falsa. A quel punto, mentre Furio sta risalendo, Gino toglie la scala e confessa: quella botola è una sorte di porta dell'inferno.

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Alle sue spalle appare infatti Carlo, che si rivela il vero carnefice e non la vittima. È lui il Male e si può mostrare sorridere e compiaciuto con una dentatura simile a quella di un maiale. Le immagini di Momenté adulto e bambino si sovrappongono: la verità più infida e putrescente si libera e il funzionario sprofonda in un buio totale.

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Filippo Franchini in una scena del film Il signor Diavolo
Carlo è il carnefice e non la vittima

Il Diavolo è un "signore" perché "alle persone cattive bisogna portare il dovuto rispetto". Il finale aperto e ambiguo del film è funzionale allo sviluppo di una saga, ambientata sempre nelle stesse zone del Polesine, con il Male in tutte le sue forme come protagonista assoluto.

Avati ha già fatto uscire L'archivio del Diavolo, sequel del binomio libro-film pubblicato da Solferino e secondo capitolo di una trilogia o tetralogia.

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Il sequel del libro-film di Pupi Avati

Il signor Diavolo è un'indagine sulle radici del maligno (puro e semplice, senza secondi fini: il male per il male) e sulla capacità di manipolare il pensiero, le vite e le facoltà di giudizio di un'intera comunità.

Un film in cui i confini tra vita e mistero sono labili, la crudeltà è tanto semplice quanto ottusa e la mostruosità animalesca dei bambini può finalmente esplodere.

Perché in fondo, privi ormai di ogni senso del sacro, è nella famiglie italiane, scavando bene, che si annida il vero orrore.

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