Intervista ai fratelli Dardenne: combattiamo l'integralismo islamico parlando nelle scuole

Autore: Elisa Giudici ,

All'inizio avevamo anche pensato di raccontare un protagonista adulto che si radicalizza nella sua fede musulmana e progetta un atto di violenza in Belgio, ma ci è sembrato inverosimile e osceno verso i tantissimi morti degli attentati. Ci è quindi venuta l’idea di usare un ragazzino, in quanto più malleabile e debole di fronte alla fascinazione della violenza. 

I fratelli Dardenne appaiono un po' provati mentre converso con loro. Da settimane promuovono il loro nuovo film L'età giovane (Le jeune Ahmed) in mezza Europa e da qualche giorno stanno raccontando il loro film al pubblico e alla stampa italiana. Roma e Milano, tra incontri con il pubblico, masterclass e l'incessante succedersi delle interviste. Dopo ore e ore di interviste, Jean-Luc sbadiglia, ma è una debolezza di un attimo. Il duo di fratelli belga che ha nel suo palmares due Palme d'oro e un'incredibile sequenza di premi e successi è attento e partecipe e dimostra un'energia incredibile, considerando che entrambi hanno superato i 60 anni. 

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Il tema è molto delicato, controverso e richiede particolare attenzione nell'essere presentato anche a loro, che della solidarietà ed empatia verso figure ai margini, che compiono errori e apparentemente irredimibili hanno fatto il loro marchio di fabbrica. Con Rosetta, L'enfant - una storia d'amore e La ragazza senza nome hanno scritto una pagina importante del cinema impegnato europeo nell'ultimo ventennio.

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La locandina di La giovane età
I Dardenne racconta L'età giovane

L'età giovane infatti racconta la storia di Ahmed, un ragazzino 13enne che, plagiato dalle parole di un imam compiacente, diventa via via ossessionato dall'ortodossia religiosa musulmana. Il film lo segue (come sempre accade nei titoli dei Dardenne) da vicinissimo, mostrando come il ragazzo diventi via via ossessionato dalla purezza del corpo, disgustato dal contatto con gli animali e le donne, considerate impure e pericolose. 

Sempre più perseguitato dall'idea di essere un puro tra le impure nella comunità musulmana, Ahmed aggredirà con un coltello la sua docente, rea di voler insegnare l'arabo utilizzando le canzoni pop e non i testi del Corano. Nonostante il percorso riabilitativo e l'affetto della famiglia e della comunità, la redenzione di Ahmed è tutt'altro che scontata. 

Come avete trovato Idir Ben Addi, il vostro Ahmed?

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Così come avvenuto per Jérémie Renier ed Émilie Dequenne: li abbiamo trovati tutti facendo dei casting. Una cosa accomuna questi tre interpreti che hanno collaborato con noi: ci hanno detto di aver amato l’idea di interpretare qualcuno che non fosse buono in senso classico. Stavolta volevamo un bambino, un giovanissimo che si atteggia da adulto ma non è ancora adolescente. Idir ha la fisicità giusta, occhi espressivi ma sfuggenti. 

La critica ha mosso al vostro film recensioni negative, anche qualche accusa di paternalismo. Qual è la reazione del pubblico?

Da mesi ormai lo facciamo vedere nelle scuole, confrontandoci con classi talvolta a maggioranza musulmana. Ogni volta diciamo agli studenti musulmani che potrebbero immedesimarsi in Ahmed e si potrebbero sentire attaccati. Con questa premessa e spiegando che non li vogliamo attaccarli personalmente ma riflettere con loro su questo fenomeno, instauriamo un dialogo. Quando invece nei centri islamici e nei cineforum mostriamo il film ai musulmani adulti si identificano molto nella madre di Ahmed.

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Secondo voi come mai Ahmed è così influenzato dal suo imam e non dalle altre figure della sua vita, come la madre e la maestra?

La religione è molto potente. Come ogni credo, la fede musulmana possiede l’arma della seduzione, è in grado di farti sentire il puro tra gli impuri, il fedele buono tra i musulmani cattivi. È difficile sottrarsi a una seduzione del genere, specie se sei un adolescente impacciato che affronta cambiamenti personali e sociali importanti.

Cosa vi ha spinto a raccontare una storia di radicalizzazione islamica?

Tutti i registi pensano allo spettatore quando creano un film. Il nostro intento era proprio quello di focalizzarci sul corpo del protagonista, chiuso, non disponibile alla comunicazione. Ed è proprio dal corpo che viene la parziale salvezza. Per noi questa è pellicola parla soprattutto della corsa fisica di Ahmed, non della caduta dei suoi ideali. Lo seguiamo mentre corre verso un gesto violento che vuole perpetrare a tutti i costi; stavolta ci è stato impossibile fargli incontrare altre persone che gli aprano gli occhi. Quindi è lo shock fisico a fermarne la corsa, a riportarlo nella sua infanzia e fargli chiamare la madre.

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Siete stati accusati di stigmatizzare l'Islam.

L'età giovane non è un film sull’impossibilità dello scambio culturale, ma dal nostro punto di vista la religione è un fatto privato e vanno posti dei limiti contro il fanatismo nella sfera pubblica. In realtà è già in atto una parziale laicizzazione dell'Islam, ma permangono delle criticità.

Come avete affrontato il ritratto della rigida ortodossia di Ahmed?

L’attenzione al corpo è fondamentale nelle religioni. Per essere precisi nel nostro ritratto, avevamo sul set un professore di religione musulmana perché Idir è un ragazzo religioso ma non così praticante. 

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L'età giovane arriverà nei cinema italiani il 30 ottobre 2019.

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