È morto Jonathan Demme: il nostro ricordo del grande regista

Autore: Elisa Giudici ,

Mentre un cancro all'esofago lo consumava giorno dopo giorno, uccidendolo a 73 anni, il regista Jonathan Demme era di certo consapevole che i coccodrilli a lui dedicati avrebbero insistito soprattutto sul ruolo di regista de Il Silenzio Degli Innocenti. Difficile non partire da quel strepitoso successo del 1991, che vinse ben 5 premi Oscar e che rimane ad oggi l'unico horror ad aver portato a casa la statuetta come Miglior Film.

Lo sbarco di Hannibal al cinema è stato il pinnacolo della sua carriera, di quella di Jodie Foster e Anthony Hopkins, un successo così fulgido che il destino beffardo l'ha ritorto proprio ai danni del suo principale artefice. Non di rado infatti quel grandissimo successo commerciale è stato ridimensionato nel ruolo di sbornia nata e finita negli anni '90, il classico caso eclatante e importante per uno specifico momento storico, ma il cui peso nella storia del cinema è destinato ad affievolirsi decennio dopo decennio. 

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È questo invece il segno più difficile da identificare eppure più importante del talento autoriale e raffinatissimo di Jonathan Demme, nato anagraficamente nel 1944 a New York e cinematograficamente negli anni '70, nella scuderia del produttore di B movie a tinte horror Roger Corman. A differenza di altri celebri colleghi che la cui carriera partì dagli stessi "filmacci" come Martin Scorsese, Francis Ford Coppola e Ron Howard, Demme non s'impose mai come protagonista autoriale delle proprie pellicole e non declinò mai il suo stile preciso e geniale con l'intento di lasciare la propria cifra stilistica sulle sue pellicole. È difficile quindi riconoscere un film di Demme a colpo d'occhio, perché non c'è mai un momento in Philadelphia, Rachel Sta per Sposarsi o Il Silenzio degli Innocenti che il regista dedichi a sé e alla sua gloria. 

Non distogliendo mai la propria attenzione dai suoi protagonisti in favore del proprio ego, Demme consentì ai personaggi dei suoi film di divenire forti e memorabili. Chi non ricorda la Jodie Foster impacciata, segretamente lesbica e mal vestita o un Tom Hanks da Oscar che deve affrontare il dramma del licenziamento e del contagio con il virus dell'AIDS, in un momento storico in cui parlare di questi temi al cinema aveva la potenza e la forza di un vero schiaffo?

Le protagoniste di Demme erano antesignane di tante donne bad-ass che oggi Hollywood ha imparato talvolta a sfruttare anche come arma di marketing, in un periodo in cui al centro di una pellicola una donna poteva starci se innamorata o inseguita dagli alieni, non certo in qualità di personaggio alla pari con una leggenda come Hannibal the cannibal. 

Universal
Jonathan Demme, l'uomo che mise la donna davanti al cannibale
Demme sul set con Hopkins, durante una delle sue celebri riprese ad asse visivo sbilanciato

Jonathan Demme era così naturalmente inclusivo e progressista che ancor oggi, in tempi di social justice e bechdel test, fatichiamo a coglierne appieno la rivoluzionaria naturalezza con cui dichiarava di essere affascinato dai personaggi femminili e di far rivivere il loro parte della propria figura materna:

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Un eroe lo ammiro per quello che fa, sia che sia uomo o donna, ma immagino sia più appassionante se è una donna ad agire perché per le donne è molto più difficile ottenere qualcosa nel nostro mondo così maschile. Forse la mia fascinazione viene dal fatto che ho sempre ammirato moltissimo mia madre. Era un'alcolizzata che smise di bere quando io ero molto piccolo e poi cominciò ad aiutare altre persone con gli Alcolisti Anonimi.

Il suo amore per i personaggi complessi e non conformisti, il suo essere curioso e completamente a suo agio con fieri esponenti dei movimenti LGBT in un momento in cui vederne uno al cinema da protagonista era un evento salutato come una mezza rivoluzione non gli resero la vita facile a Hollywood. La sua cifra stilistica di non avere un firma autoriale evidente lo spinse fuori dal circolo dei registi più amati dall'Academy subito dopo esserci entrato, ma non per questo ne fermò la carriera.

Cambiò semplicemente ritmo e, lontano dai riflettori di Hollywood, trovò una comunità di cinefili che riconobbe la sua enorme maestria: quella degli appassionati di musica. Regista di documentari, concerti e videoclip, Demme seppe mostrare al mondo come un documentario considerato minore come quello dedicato a un cantante o un musicista potesse divenire un'opera d'arte. Lo fece nel 1984 con il memorabile film concerto Stop Making Sense dei Talking Heads (considerato uno dei più belli film concerto di sempre), lo fece con Justin Timberlake su chiamata di Netflix. 

Gary Goetzman
Jonathan Demme, l'uomo che mise la donna davanti al cannibale
L'ondeggiante David Byrne divenne simbolo stesso dell'estasi musicale in questa celebre ripresa di Demme per il documentario del 1984

Con Demme se ne va insomma un pezzetto di Hollywood che amava lasciar parlare in sua vece certe riprese millimetriche, certi sbilanciamenti ad arte di assi e fuochi che rendevano ogni dialogo tra Foster e Hopkins una guerra psicologica e ogni spasmo di David Byrne sul palco una testimonianza dell'artista in piena estasi musicale.

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Sarebbe stupendo se comparissero altrettanti geni silenziosi pronti a prenderne il posto, anche se defilato, ad Hollywood. Purtroppo parecchie roboanti riprese degli autori di oggi rivelano un vuoto umano desolante, soprattutto di fronte a quella millimetrica e mimetica precisione con cui Demme osservava ogni volta con grande curiosità e partecipazione l'animo umano. 

Sono ancora interessato nei film che abbiamo qualcosa da dire sulla condizione umana in questi tempi difficili, storie che sappiano toccare l'animo delle persone che le stanno a a guardare, presentate in una confezione che possa comunque essere considerata intrattenimento.

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