Aspettando 5 è il numero perfetto: la camorra al cinema, da Fortapàsc a Mi manda Picone

Autore: Emanuele Zambon ,

Storie di una malavita radicata nei tessuti della società. Fiction che si mescola alla cronaca, la supera in fantasia e poi ne subisce il contro-sorpasso in termini di efferatezza e violenza. La natura del cinema italiano, quando si cimenta con i film sulla criminalità organizzata, è quella di un'espressione artistica che tende (quasi) sempre a riprodurre sullo schermo la realtà, mestando nel torbido di una piaga impossibile da debellare.

Figure di guappi senza scrupoli, uomini d'onore scampati ad agguati e boss ambiziosi caratterizzano un filone produttivo che negli anni ha sfornato titoli di culto. Pellicole tricolore che spesso hanno rappresentato un'alternativa di pari livello ai mafia movie hollywoodiani, che da Coppola a Scorsese passando per De Palma si sono sempre distinti per la spettacolarizzazione della violenza e per una messa in scena solenne in cui è facile rintracciare elementi della tragedia classica. Viceversa, il cinema italiano ha preferito puntare sul valore documentaristico delle sue opere, assai più difficili da dimenticare rispetto a ritagli di giornale e servizi al TG.

La camorra al cinema: i film da (ri)vedere

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Una scena di Pasqualino Settebellezze

Dopo aver passato in rassegna i migliori film su magistrati e poliziotti, un focus dedicato quasi esclusivamente al fenomeno della mafia siciliana, in questa sede si affrontano (e si ricordano) alcune delle migliori produzioni sul tema della camorra. È un viaggio che passa per i vicoli di una Napoli chiassosa che si arrangia (color pastello nei film di De Sica, Risi e in Piedono lo sbirro di Steno) ma capace anche di mostrarsi ambigua e spietata come nei lungometraggi di Lina Wertmüller (uno su tutti: Pasqualino Settebellezze).

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Si passa con facilità dal noir al dramma, dal richiamo alla cronaca nera a vicende frutto della fantasia di ispirati autori, come nel caso dell'atteso 5 è il numero perfetto dell'artista di fama internazionale Igort, nome di prestigio del fumetto italiano alla regia cinematografica per la prima volta con l’adattamento della sua omonima graphic novel.

Aspettando 5 è il numero perfetto

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Con una piovosa napoli anni '70 a fare da cornice, la pellicola segue le vicende di Peppino Lo Cicero, interpretato da un irriconoscibile Toni Servillo. L'uomo è un guappo e sicario in pensione costretto dagli eventi - c'è una vendetta da portare a termine - a tornare in azione. Nel film, al fianco del protagonista, appaiono Valeria Golino (Rita) e Carlo Buccirosso (Totò o’ Macellaio).

Con 5 è il numero perfetto il filone cinematografico che tratta la camorra aggiunge un altro tassello ad un patchwork già di per sé ben strutturato, in cui è possibile ritrovare sbirri dal ceffone facile (il Maurizio Merli di Napoli violenta, la stagione è quella del poliziottesco anni '70), esordi dietro la macchina da presa caratterizzati da toni decisi, senza mezze misure (Pummarò di Michele Placido, uscito nel '90), reucci della sceneggiata (Mario Merola in uno dei suoi tanti film fotocopia, tra "giuramenti e tradimenti"), paranze di "certi bambini" (veri e propri cazzotti nello stomaco sia la pellicola dei fratelli Frazzi che il recente adattamento del libro di Saviano) e la denuncia e il mestiere di un cineasta senza fronzoli come Pasquale Squitieri.

In Se lo scopre Gargiulo veniamo proiettati, assieme a Giuliana De Sio, nei bassifondi di Napoli, tra irresistibili equivoci (la tombola) e guappi dal cuore d'oro. Perez. di Edoardo De Angelis, invece, è di tutt'altra pasta: un dramma teso in cui il vortice camorristico sembra risucchiare del tutto un avvocato sfinito e disilluso (l'ottimo Luca Zingaretti, affiancato per l'occasione da Marco D'Amore, uno dei mammasantissima della serie TV Gomorra). Storie forti, come quelle a cui ci ha abituato il regista Leonardo di Costanzo, autore de L'intervallo e L'intrusa, riflessioni dolorose su come un tessuto urbano e sociale sembri dominare personaggi inermi e desiderosi d'altro.

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Quando c'è da affrontare la camorra con ironia, è Luciano De Crescenzo il nome adatto. C'è tutta una bellissima illustrazione metaforica del fenomeno in Così parlò Bellavista, basata su numeri civici e statuette che cadono rompendosi ("Potrebbe capitare una disgrazia", minaccia l'aguzzino; "Ma vi siete fatto bene i conti? Vi conviene fare il camorrista?", replica il professore).

La camorra, in anni recenti, si frappone tra il riscatto personale ed Edoardo Leo, Carlo Buccirosso e Claudio Amendola in Noi e la Giulia, favola dal finale aperto in cui, una volta tanto, i ruoli si rovesciano, con gli aguzzini sequestrati in una masseria del Sud Italia. Cantano, invece, don e guappi di Ammore e malavita, musical dei Manetti Bros. incentrato su un boss (ancora Buccirosso, stavolta col parrucchino) che finge la propria morte per cambiare vita, incrociando il proprio destino con quello di due novelli Romeo e Giulietta. Infine una camorra schizofrenica, pirotecnica: quella del grottesco Dolceroma di Fabio Resinaro

Sei titoli, in particolare, meritano però una menzione a parte, perché in grado di restituire sullo schermo le diverse sfaccettature di un fenomeno - quello della camorra - servendosi di registri differenti, capaci di spaziare dalla commedia al dramma. 

1) Gomorra

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Una scena del film Gomorra

Un best seller, scritto da Roberto Saviano. Un regista di talento, Matteo Garrone. Il mix genera Gomorra, affresco spietato e senza filtri di una camorra che sembra essere ovunque, arrivare a chiunque. Che siano sarti, bambini o imprenditori, fa lo stesso: nessuno sfugge all'ineluttabilità di un destino bagnato di sangue e soffocato dal denaro. Tra faide a Scampia, terre dei fuochi e pizzo, Gomorra si impone come un must del genere che lascia poche speranze per un futuro libero dalla criminalità organizzata, vera e propria piovra che gioca su tutti i tavoli del lucro imponendo sempre e comunque le proprie regole.

2) Il camorrista

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Ben Gazzara e Nicola Di pinto in una scena del film

L'esordio alla regia di Giuseppe Tornatore ruota attorno alla figura del superboss Raffaele Cutolo, fondatore nella metà degli anni '70 della Nuova Camorra Organizzata, ramo i cui affiliati venerano 'o professore vesuviano come il paladino dei più deboli ed emarginati in lotta contro la cupola cosiddetta tradizionale ("Riscatteremo il Meridione. La camorra riformata deve avere tre cose: una perfetta organizzazione, abbastanza danari per corrompere giudici e politici, la convinzione che disponiamo della vita e della morte di tutti quanti"). A dare un volto e una gestualità solenne a Cutolo è uno straordinario Ben Gazzara (doppiato dall'altrettanto ottimo Mariano Rigillo), affiancato da Laura del Sol, Nicola Di Pinto e Leo Gullotta.

3) Mi manda Picone

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Lina Sastri in una scena di Mi manda Picone

Giancarlo Giannini gira con una busta della spesa in una mano e con un taccuino nell'altra. Cammina per tutto il film, ossessionato dalle scarpe e da un mistero: chi è davvero Picone? Se lo chiede anche una sontuosa Lina Sastri, moglie dell'uomo che nell'incipit di uno dei più bei film di Nanni Loy sembra scomparire nel nulla dopo essersi dato fuoco nel bel mezzo di un'assemblea.

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È un caleidoscopio di vizi e volti deformati, quello messo in scena da Mi manda Picone, sospeso tra la commedia e il mystery in una Napoli ricca di segreti e fitte trame. Loy, con una punta di veleno, mette in mostra il decadimento della società italiana del dopo boom, tesa nella ricerca del benessere a tutti i costi. A smorzare i toni ci pensano tutta una serie di situazioni al limite del grottesco capaci di strappare sorrisi a scena aperta, quasi sempre con lo stralunato Giannini catapultato in una realtà di cui conosce poco o nulla ma che lo intriga sempre più (la parentesi "febbre da cavallo" con il puledro Chimmofafà è a dir poco spassosa).

I dialoghi, poi, non sono da meno ("Suo marito si è bruciato? E allora qua non ci può stare, si è bruciato pure il reparto di quelli che si bruciavano"; così un ricoverato si rivolge alla moglie di Picone).

4) Fortapàsc

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Libero De Rienzo in una scena di Fortapàsc

Il cinema di Marco Risi denuncia spesso le vergogne e i disagi italiani. Lo ha fatto ne Il muro di gomma (vero e proprio j'accuse allo Stato per la tragedia di Ustica), In Soldati - 365 all'alba e in Mery per sempre. Lo fa pure col bellissimo Fortapàsc, biopic dedicato alla figura del giornalista Giancarlo Siani, vittima della camorra negli anni '80, che lo freddò con ben 10 colpi di pistola alla testa, esplosi all'indirizzo del reporter mentre parcheggiava sotto casa la sua Citroën Méhari.

Libero De Rienzo è qui ad uno dei ruoli più belli della sua carriera, un giovane cronista dalla zazzera corvina che sfida la camorra a colpi di inchieste giornalistiche su Il Mattino. Una menzione speciale va anche a Massimiliano Gallo, che impersona il superboss Valentino Gionta, che a Torre annunziata, seduto su un vero e proprio trono, alimenta la faida col clan dei Bardellino.

5) Operazione San Gennaro

Interfilm
Nino Manfredi e Totò in una scena del film

Più che con la camorra, Dino Risi è alle prese con uomini d'onore sui generis: vi è un Totò che tutti omaggiano oppure Nino Manfredi col baffo da damerino più interessato al proprio appeal che alle attività criminali. L'idea di un colpo arriva assieme a tre individui giunti dagli States (tra loro, la femme fatale Senta Berger). Guai però a proporre ad un napoletano di rubare il tesoro di San Gennaro.

Spassoso, ritmato congegno a orologeria che mette insieme gli schemi dell'heist movie, le caratterizzazioni partenopee e alcuni dei volti più illustri della commedia all'italiana.

6) Io speriamo che me la cavo

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Paolo Villaggio protagonista di Io speriamo che me la cavo

La camorra vista attraverso gli occhi dei bambini nel toccante film diretto da Lina Wertmüller e tratto dal romanzo di Marcello d'Orta. Un professore trasferitosi dal Nord a Corzano, in provincia di Napoli, deve fare i conti con la realtà del posto. Proverà, riuscendoci in parte, a strappare i bambini dalla strada, allontanandoli il più possibile da un destino di delinquenza.

Non servono tante parole per celebrare quest'opera che miscela dramma e ironia, luoghi comuni e denuncia, sorretta da un grande Paolo Villaggio, che in modo definitivo dimostra la sua statura al di là di Fantozzi. Il resto del cast non è da meno: da Paolo Bonacelli alla direttrice della scuola De Amicis, Isa Danieli, passando per il "cartonaio" Sergio Solli.

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