La Legge della Notte, la recensione del film di Ben Affleck

Autore: Emanuele Zambon ,

"Non potrai mai vivere davvero se non c'è qualcosa per cui moriresti". La Legge della Notte è quella che sceglie Joe Coughlin (Ben Affleck), figlio degenerato di un capitano di polizia (Brendan Gleeson) nella Boston di fine anni '20.

Sono gli anni in cui il Volstead Act da un lato proibisce (viene infatti coniato il termine "Proibizionismo") fabbricazione e spaccio di bevande alcoliche, dall'altro contribuisce al proliferare del contrabbando di alcool ad opera di gruppi mafiosi. Al Capone gestisce il traffico illecito a Chicago, mentre a Boston - come narrato in Live By Night di Dennis Lehane - è in corso una vera e propria faida che coinvolge la cosca irlandese di Albert White (Robert Glenister) e quella rivale, al cui vertice si trova Maso Pescatore, boss italiano impersonato da Remo Girone.

La Legge della Notte: "Dura Lex, Ben Lex"

In mezzo ad una faida tra gangster vi è, un po' come il Joe di Clint Eastwood in Per un pugno di dollari, il protagonista impersonato da Affleck, figura borderline che rifiuta l'etichetta di gangster (affibbiata dallo stesso a boss irlandesi e mafiosi italiani), per limitarsi invece a fluttuare al di là della legge, compiendo rapine come gli illustri colleghi (reali) John Dillinger e Baby Face Nelson.

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Joe sarà costretto, dagli eventi che si susseguono nel corso de La Legge della Notte, ad allearsi con la famiglia Pescatore, arrivando a controllarne il traffico di liquori che fa la spola da Boston - che il protagonista abbandona dopo tre anni passati dietro le sbarre - a Tampa, assolata city della Florida presieduta non solo da cubani, ispanici e italiani, bensì infestata (pure) dal Ku Klux Klan, che si rivelerà un acerrimo rivale della "politica imprenditoriale" di Joe, in affari (anche di cuore, dato che si innamora perdutamente di Zoe Saldana) proprio con i cubani.

La Legge della Notte, la recensione: "Ben & Clyde"

La Legge della Notte fa capolino, ad intervalli regolari, sulla soglia del gangster movie, tentennando di continuo quando la situazione richiede di varcare il genere definitivamente. A contaminare un film di guardie e ladri - costruito a suon di mitra Thompson e bolidi rombanti - sono elementi propri del melò, stilemi tipici dei drammi sentimentali che caricano il film di un'aura fin troppo tragica, risultando alla lunga quasi dei corpi estranei.

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Il quarto lungometraggio di Affleck vive di fiammate: si accende quando si spara, si affievolisce quando si parla. Ed è questo uno degli aspetti de La Legge della Notte che presta il fianco alle critiche: il film va in sofferenza per demerito dei dialoghi, forzati o banali. Quello che non accade invece con pellicole come Scarface, Quei bravi ragazzi o Il Padrino, attraverso cui il cinema 'regola i conti' con la criminalità tramite scene di efferata violenza e un linguaggio che possiede i requisiti essenziali per divenire in modo credibile il verbo del male.

Warner Bros.
Ben Affleck e Chris Messina in una scena del film

Nel gangster movie di Affleck ciò non avviene. Il regista di Argo non incarna poi né la brama di potere di Al Pacino/Tony Montana né i modi solenni da padrino di Robert De Niro/Al Capone (e neppure il fascino del John Dillinger di Johnny Depp).

Per questo La Legge della Notte, che vanta scenografie sontuose e una splendida fotografia che vive di contrasti (dai colori freddi, scelti per esaltare la gelida Boston, al repentino passaggio alle tonalità calde quando l'azione si sposta a Tampa), perde il confronto con buona parte della filmografia di genere, rischiando di essere ricordato come il più deludente dei lungometraggi girati dal regista dal nuovo Batman.

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