Leatherface, la recensione: l'origine del mito

Autore: Maico Morellini ,

Leatherface è l'ottavo film di un franchise nato nel 1974 dalla penna brillante del compianto Tobe Hooper e di Kim Henkle, il secondo prodotto da Millenium Films. È il prequel di Non Aprite quella Porta (1974) e mantiene legami solo con questa pellicola e con l'ultimo Non Aprite Quella Porta – 3D (2013).

Nel 1922, lo stato del Texas istituì un programma di assistenza per bambini a rischio. Durante il primo anno di attività circa cinquanta bambini furono portati via da case in cui criminalità, malattie genetiche o comportamenti sconvenienti erano la norma.

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Sono queste le parole con cui lo sceneggiatore Seth M. Sherwood getta la basi per l'avventura spaventosa che si concluderà con la genesi dell'icona horror Faccia di Cuoio.

La consacrazione di un mito

Qual è l'unico modo per rendere ancora più grande ciò che è già un mito? Raccontarne le origini, mostrare come la normalità può trasformarsi in qualcosa di eccezionalmente buono o di straordinariamente cattivo.

E se il mito è un killer che indossa maschere fatte di pelle umana, che appartiene a una famiglia di pazzi cannibali, e che uccide armato di una rombante e terribile motosega, occorre che le sue origini siano all'altezza di tutto ciò che rappresenta. Perciò il passato di Leatherface deve essere all'altezza del suo macabro presente e terrificante futuro.

I registi Alexandre Bustillo e Julien Maury sono riusciti in questa difficile impresa?

Ogni terrore ha un inizio

La storia di Leatherface inizia nel 1955, diciannove anni prima dei sanguinari omicidi che vedremo commettere dalla famiglia Sawyer nel 1973.

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Racconta di Verna (Lili Taylor), matrona protettiva e spietata del clan, del letale nonno, del maturo omicida Drayton e del fratello minore. Ma, soprattutto, del più giovane membro della famiglia: Jedidiah Jed Sawyer.

Millennium Films
Il texas ranger psicopatico Hal Hartman è interpretato da Stephen Dorff

È nel 1955 che i giovani Sawyer uccidono la figlia dello sceriffo Hartman (Stephen Dorff) ed è lì che verranno piantati i semi del male, un male che sboccerà dieci anno dopo. Anni che il piccolo Jed passerà a Gorman House, un manicomio per minorenni.

Ricordo di un'estate

Gli intenti del trio Bustillo, Maury e Sherwood sono ambiziosi, molto ambiziosi. Registi e sceneggiatore vogliono arricchire i luoghi comuni dell'horror a cui tutto il franchise di Non Aprite Quella Porta ha sempre fatto riferimento con qualcosa di più, ma senza smarrire le coordinate che hanno resto Faccia di Cuoio quello che è.

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Ike, Bud, Jacksin, Clarice e Lizzy, i protagonisti di Leatherface

Così la fuga dei quattro pazzi Ike (James Bloor), Clarice (Jessica Madsen), Bud (Sam Coleman) e Jackson (Samuel Strike) con l'infermiera Lizzy (Vanessa Grasse) in ostaggio appare come una versione deformata e deformante di Stand By Me – Ricordo di un'Estate (1986): laddove i quattro ragazzi nati dalla pena di Stephen King compivano il loro viaggio di crescita verso la maturità, qui il percorso è senza ritorno, soffocato dalle spire di un densa follia.

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Allo stesso modo tutti i personaggi, nessuno escluso, hanno una forte componente oscura. Nel mondo di Leatherface nessuno è senza colpa come a indicare che Jed Sawyer è solo figlio dei suoi tempi, né più, né meno. Di uno sceriffo impazzito dal dolore, di un vice corrotto, di un sistema sanitario sadico, di un Texas in cui è facile trovare armi ed è ancora più facile usarle.

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Lizzy, Jackson e Bud sono tre dei protagonisti di Leatherface

Estetica e citazioni

Diverse cose colpiscono in Leatherface. La prima è la scelta estetica dei registi di utilizzare una fotografia molto particolare che rende più vividi gli anni cinquanta/sessanta nei quali è ambientato il film.

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Perciò colori caldi, ma sempre associati a qualcosa che muore. Una stagione eterna dove le foglie morte e ingiallite sono anticamera della morte e dall'avvizzimento dell'anima di Jed. Il film è un percorso attraverso l'autunno della sanità mentale che conduce a una lunga e determinante notte di follia.

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I fratelli Sawyer che osservano il risultato di uno dei loro omicidi

La seconda sono i riferimenti a un cinema di genere al quale i registi francesi si ispirano. È facile trovare il Pulp Fiction (1994) di Quentin Tarantino nella lunga ed efficace sequenza al ristorante così come si può percepire l'influenza del cinema horror francese (Frontiers - Ai Confini dell'Inferno, per esempio) nelle scelte coraggiose e sanguinare dei registi. Inquietante, sempre nel campo delle citazioni, anche la somiglianza tra Samuel Strike e Ed Gein, il serial killer che ha ispirato faccia di cuoio.

La terza, e per certi versi la più interessante, è la contestualizzazione della pazzia di Faccia di Cuoio. Essere stato in un manicomio per dieci anni, aver vissuto accanto a giovani disturbati e violenti senza cure degne di questo nome, ha fatto sedimentare nella mente di Jedidiah diverse personalità sopite e violente. Personalità che riemergeranno nella storia di Faccia di Cuoio grazie alle facce che indosserà.

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Faccia di Cuoio prepara una delle sue maschere in pelle umana

Luci e ombre

Nel complesso Leatherface è un buon film che riesce ad aggiungere elementi interessanti al mito di Faccia di Cuoio pur mantenendo lo spirito slasher del franchise. Eppure, proprio nello sviluppo di ciò che gli riesce meglio, si trovano alcune ombre.

L'ascesa di Jed, la sua trasformazione in Faccia di Cuoio, avrebbe potuto essere più epica. Tutto il processo è caratterizzato da cambi di tempo che spiazzano lievemente lo spettatore. Come se arrivati a quel punto i registi avessero dovuto chiudere in fretta una storia che, lo comprendiamo, è difficile condensare in un solo film.

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James Bloor interpreta il maniaco assassino Ike

In più, per risolvere la complessità dell'impianto narrativo e mantenere uno standard sanguinario all'altezza di Non Aprite Quella Porta, hanno dovuto utilizzare qualche scorciatoia che fa scricchiolare, senza però mai rompere del tutto, l'impianto narrativo.

Rispondendo alla domanda iniziale, Bustillo e Maury sono riusciti a definire un passato all'altezza di Faccia di Cuoio? Nel complesso la riposta è sì.

Comunque, quando sullo schermo è comparso il nome di Tobe Hooper come produttore esecutivo, ci si è stretto il cuore: Leatherface è stato il modo migliore per celebrare il grande regista.

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