NASA: buco nero di massa 10 volte quella solare divora una stella

Autore: Danilo Abate ,

Siamo tutti a conoscenza dell’ingordigia dei buchi neri, definiti come regioni dello spaziotempo con un campo gravitazionale così potente che risucchiano tutto ciò che incontrano sul proprio cammino, non lasciando scampo neanche alla luce.

Forse però non tutti sapevano che i buchi neri possono anche rigettare la materia che li circonda. È questo il caso di un buco nero, distante quasi 10mila anni luce dal nostro pianeta, che ha letteralmente eruttato con energia, determinando una gigantesca emissione di luce a raggi X. L’emissione in questione è stata captata dai ragazzi della National Aeronautics and Space Administration (NASA), fornendo così preziose informazioni su ciò che accade quando un buco nero effettua un vero e proprio “rigetto”.

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A tal proposito Erin Kara dell’Università del Maryland (College Park), astronoma autrice dello studio sul fenomeno di rigetto, evidenzia quanto i dettagli del passaggio dal flusso di materia all’interno del buco nero al rigetto da parte dello stesso siano ancora avvolti nel mistero:

Fra i misteri più importanti che ancora non trovano risoluzione abbiamo il meccanismo tramite cui si passa dal fluire della materia all’interno del buco nero al rigetto della stessa. Siamo certi che tale evento è in corso ma non riusciamo a comprenderne i particolari.

Dallo studio di Kara apprendiamo che l’emissione di luce a raggi X è cominciata l’11 marzo scorso, rendendo un buco nero non rilevabile dai telescopi terresti uno fra gli oggetti più luminosi del cielo.

In particolare, il nostro “mostro nero”, battezzato MAXI J1820+070, è stato rilevato grazie all’esperimento Monitor of All-sky X-ray Image (da qui il buco nero prende il nome di MAXI) intrapreso sulla Stazione Spaziale Internazionale. Nei mesi seguenti il NICER (Neutron Star Interior Composition Explorer), altro osservatorio presente sulla ISS, ha tenuto sotto controllo le emissioni monitorando il buco nero in questione quasi ogni giorno.

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Gli addetti ai lavori sono così riusciti non solo a misurare il buco nero, ma hanno anche registrato fenomeni definiti come “echi di luce”, che rappresentano lo scarto temporale esistente fra la luce a raggi X originata da due differenti aree situate attorno a MAXI J1820+070. I ricercatori hanno infatti notato che alcune emissioni venivano da una regione costituita da elettroni e altre particelle cariche definita “corona”.

Goddard Space Flight Center/NASA
Una rappresentazione di echi di luce sprigionati da un buco nero
Spettacolari echi di luce sprigionati da un buco nero

Situato invece perpendicolarmente alla corona abbiamo il cosiddetto “disco di accrescimento”, una sorta di ciambella formata da gas che ruota intorno al buco nero e precipita al suo interno, e la luce dalla corona rimbalza sul disco, giungendo poi al sistema di rilevamento di NICER.

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NICER ha permesso in tal modo di registrare che lo scarto temporale fra gli echi di luce si riduce progressivamente, ciò è dovuto a una riduzione della distanza fra corona e disco.

I ragazzi della NASA hanno poi notato che, in tale circostanza, non vi è un cambiamento dei confini del disco, bensì è la corona a diventare sempre più corta, quindi il tragitto compiuto dalla luce per arrivare al disco non è lungo.

Dan Wilkins, astrofisico dell’Università di Stanford, evidenzia l’importanza dell’essere riusciti a registrare i ritardi temporali fra gli echi di luce durante le emissioni di MAXI J1820+070:

Riuscire a registrare variazioni nei ritardi temporali fra gli echi di luce durante l’emissione può darci modo di comprendere ciò che accade attorno a un buco nero. 

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La corona è oggetto di particolare attenzione da parte dei ricercatori perché si ritiene che essa costituisca la fonte d’emissione di fasci di particelle e di luce, definiti come getti relativistici, in grado di spostarsi a una velocità vicina a quella della luce, e rilevabili nei vari buchi neri situati nel nostro Universo.

Stephen Eikenberry dell’Università della Florida tiene invece a specificare che, per poter caratterizzare al meglio il restringimento della corona, bisognerà rivedere le teorie sulla formazione dei getti relativistici:

Il bello dello studio condotto da Kara è che è possibile ‘osservare’ la corona che si riduce mentre avviene l’emissione. Non conosco però previsioni teoriche circa il fenomeno di restringimento della corona, dunque bisognerà effettuare una revisione delle teorie alla base dei getti relativistici.

Considerando poi l’imponente massa di MAXI J1820+070 si prevede che, analizzandolo, sarà possibile comprendere maggiormente anche i buchi neri supermassicci, dotati di massa milioni di volte superiore:

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Buchi neri come MAXI J1820+070 possono considerarsi buoni modelli per lo studio dei buchi neri supermassicci. A differenza dei buchi neri come quello in esame però, le cui emissioni sono rilevabili per settimane e anche mesi, le emissioni dei buchi neri supermassicci si protraggono per anni.

Le osservazioni fatte su MAXI J1820+070, secondo Wilkins, fanno infatti presagire la validità del “modello a lampione” dei buchi neri supermassicci, in base al quale la corona presenta una forma a lampadina all’apice e alla base del buco nero.

Monitorando le emissioni dei buchi neri supermassicci abbiamo visto anche lì un cambiamento nelle dimensioni della corona, e il tutto farebbe pensare alla veridicità del ‘modello a lampione’.

Si spera che nel prossimo futuro la NASA possa riuscire a risolvere il mistero che avvolge i misteriosi e temibili buchi neri, consapevoli del fatto che i risultati ottenuti finora sono a dir poco incoraggianti.

E voi che ne pensate? I ragazzi della NASA riusciranno a comprendere al 100% la natura dei buchi neri e il modo in cui “si comportano”?

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