Omaggio a George Romero, l'uomo che ha cambiato il cinema

Autore: Chiara Poli ,

Ci sono film che fanno la storia del cinema. Idee che diventano parte integrante dell’immaginario collettivo.

Uomini che si trasformano in icone di un genere, di un modo innovativo di pensare, di un talento capace di contagiare gli altri.

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George A. Romero era uno di questi. Il grande autore e regista si è spento ieri a Toronto, all’età di 77 anni. 

Romero ha fatto la storia del cinema, ma anche della cultura.

Negli anni ’60 ha mostrato a tutti come i film del genere più bistrattato dalla critica, l’horror, poteva diventare strumento di denuncia, metafora dell’orrore di un mondo che sta andando nella direzione sbagliata.

La notte dei morti viventi, girato in bianco e nero, nel tempo libero, con meno di centomila dollari, ha fatto tutto questo.

La notte dei morti viventi di Ro
Un'imm

Come Zombi, Il giorno degli zombie, La terra dei morti viventi e tutti gli altri film di George Romero.

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Molti hanno seguito le sue orme: #Joss Whedon ha trasformato una ragazzina bionda e la sua storia di #ammazzavampiri nella metafora dell’orrore di crescere, del traumatico passaggio all’età adulta (con tanto di distruzione del liceo a sancirlo), della paura dei cambiamenti che fanno da sfondo all’adolescenza.

Gene Roddenberry ha dato vita all’incubo incarnato dai Borg sulla base degli zombie di Romero: creature senza morale, senza identità, senza moralità, spinte solo dal bisogno primario. Nutrirsi, nel caso degli zombie. Assimilare, in quello dei Borg.

Un’infinità di scrittori, da #Stephen King a George R.R. Martin, da Max Brooks a Jonathan Maberry, si sono ispirati al suo lavoro riproponendone atmosfere, tematiche, ambientazioni.

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Perché George Andrew Romero, nato a New York nel febbraio del 1940, ha cambiato il mondo. E questo lo ha reso immortale.

La notte dei morti viventi di Romero 

George Romero non ha inventato gli zombie. Celebri pellicole sui morti viventi erano già state viste al cinema (penso a Ho camminato con uno zombie, del 1943, ma soprattutto al capolavoro dell’espressionismo: Il gabinetto del Dottor Caligari, con il mostro sonnambulo-zombie-soggiogato destinato a evolversi nelle sapienti mani di Romero).

Non li ha inventati, ma ha scritto la loro storia. Ha dato loro forma e spessore, li ha caricati di metafore - nemmeno troppo sottili - e li ha trasformati in un simbolo.

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Ne ha fatto creature col compito di decodificare l’orrore della vita quotidiana, il sopravvento dell’istinto sulla razionalità, la paura della perdita dell’individualità.

Girando in bianco e nero nei weekend, con un budget destinato a incassare centinaia di volte il suo budget, George Romero ha fatto per il genere horror ciò che L’invasione degli ultracorpi aveva fatto per la fantascienza: dare corpo alla paura del diverso, dell’invasore, del nemico comunista celato sotto le spoglie di amici e famigliari.

Il clima claustrofobico della pellicola, storia di una ragazza che trova rifugio in una casa, insieme a un gruppo di sconosciuti, mentre i morti si risvegliano e danno la caccia ai vivi, permette al regista di mettere a fuoco i “tipi” che ha scelto per rappresentare l’umanità.

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Un’umanità piena di pregiudizi, in una società americana che fa distinzioni, e che trasforma l’unico sopravvissuto - l’uomo di colore - nella vittima di un’America che non è pronta all’uguaglianza, nonostante quanto affermi.

Naturalmente, l’accoglienza de La notte dei morti viventi non fu felice: i critici si scagliarono contro le scene cruente, giudicate superflue e gratuite. Le femministe si arrabbiarono per la debolezza della protagonista, che si affida agli uomini per salvarsi. E i bravi genitori americani gridarono allo scandalo, facendo di tutto per impedire che i loro figli s’infilassero nelle sale cinematografiche a guardare una pellicola “pericolosa”.

Obiettivo raggiunto, quindi: Romero aveva colpito tutti quelli a cui il suo film era diretto. In più, aveva dato vita alla figura più importante del cinema a venire: il serial killer. Nei panni di un mostro disorganizzato, lento, amorale, incapace di ragionare ma destinato a evolversi. Come i serial killer che in quegli anni iniziavano a terrorizzare le città americane.

Zombi

Se La notte dei morti viventi aveva messo in scena il risveglio improvviso dei cadaveri, senza spiegazioni, esattamente dieci anni dopo Zombi fa un ulteriore passo in avanti.

Continuando a dare l’epidemia zombie come un dato di fatto, senza cause e senza motivazioni - costante dell’opera romeriana - Romero ribadisce quanto aveva già accennato nel suo primo film: chiedersi perché i morti si risveglino non solo non è utile a combatterli, ma rischia anche di costare caro.

Il momento dell’incredulità dell’uomo di fronte alla sovversione dell’ordine naturale, quel ciclo vita-morte su cui è basata tutta la conoscenza umana, compromette seriamente la capacità di sopravvivere. Attendere il risveglio del collega e amico per “dargli la pace” prima che possa far del male ai vivi significa aver accettato il nuovo stato delle cose e avere i numeri per sopravvivere il più a lungo possibile.

Non a caso due personaggi, solo due - entrambi costretti a vedere qualcuno che amavano trasformato in zombie - riescono a fuggire quando il centro commerciale in cui si erano rifugiati viene invaso dai morti viventi.

Un centro commerciale che Romero utilizza, senza troppi complimenti, come metafora del consumismo dilagante che spinge l’America a costruire templi del commercio sempre più grandi e sempre più articolati. destinati a cambiare il mondo, proprio come i suoi film.

Una scena da Zombi di Romero
Una scena da Zombi di Romero

Zombi rappresenta una delle tappe fondamentali dell’evoluzione dello zombie romeriano anche per un altro motivo: gli sciacalli. La rappresentazione di come gli esseri umani, di fronte a un’epidemia che potrebbe costar loro l’estinzione, siano incapaci di fare fronte comune e tendano, al contrario, ad approfittare delle risorse altrui per sopravvivere (a discapito dei malcapitati che incontrano).

Riportando in uno dei suoi capolavori zombi le tematiche affrontate in La città verrà distrutta all’alba (1973), il grande regista imprime alla storia del cinema un’impronta indelebile. Affrontando quel lato oscuro dell’uomo che chi verrà dopo di lui sfrutterà nei modi più svariati. Sempre con grande successo.

Anche questa, la capacità di scavare nell’animo umano di fronte all’orrore, rimarrà una costante del cinema di Romero. Ma anche l’aspetto più interessante e intrigante di tutte le produzioni tematiche. Al cinema e #in TV.

La terra dei Morti Viventi

Romero ha personalmente diretto sei film - ma la storia l’ha fatta con molti meno - incentrati sugli zombie.

Ha scritto, prodotto e diretto La notte dei morti viventi (1968), Zombi (1978), Il giorno degli zombi (1985), La terra dei morti viventi (2005, in cui compare Asia Argento, figlia dell'amico e collega Dario Argento, con cui Romero ha diretto Due occhi diabolici), Le cronache dei morti viventi (2007, girato interamente in digitale) e L’isola dei sopravvissuti (2009, presentato in anteprima mondiale a Venezia e distribuito poi direttamente in DVD).

La domanda è sempre la stessa: come si fa a diventare la massima autorità in materia cinematografica con “solo” sei film sull’argomento, a fronte di una produzione mondiale che vanta migliaia di titoli? Come abbiamo visto finora: trasformando gli zombie in una metafora, caricandoli di denunce sulla società contemporanea, armandoli con significati importanti. E trasformandoli.

Con La terra dei morti viventi, George Romero scrive la proverbiale eccezione che conferma la regola: dota gli zombie - alcuni zombie, almeno - di una capacità di ragionamento. Quella stessa capacità la cui mancanza, per oltre trent’anni, ha costituito le basi della sua narrazione.

Una scena da La terra dei morti viventi
Il benzinaio zombi ne La terra dei morti viventi

Il benzinaio zombie che guida l’armata dei morti viventi, riconosce il suo nemico umano e lo segue per vendicarsi rappresenta un’evoluzione degli esperimenti de Il giorno degli zombie, in cui gli scienziati (o pseudo tali…) erano intenti a studiare le reali capacità emotive e cerebrali dei cadaveri ambulanti.

Ma stavolta c’è qualcosa di nuovo: l’umanità dello zombie. Come l’uomo, lo zombie diventa vendicativo, assetato di potere, capace di tutto pur di distruggere il proprio nemico: se stesso.

In una metafora di auto-distruzione, George Romero riscrive decenni di storia di genere.

Le reazioni emotive dei personaggi sono da sempre il punto di forza e il centro nevralgico della narrazione di Romero. Le strategie di sopravvivenza passano sempre in secondo piano, rispetto al meccanismo di conflitto o solidarietà che ciascun personaggio sa mettere in atto.

John Leguizamo: La terra dei morti viventi
John Leguizamo ne La terra dei morti viventi

Per questo, il viscido Cholo De Mora di John Leguizamo è l’evoluzione del terribile Harry Cooper di Karl Aldman ne La notte dei morti viventi: l’uomo che, pur di garantire la propria sopravvivenza, è disposto a sacrificare tutto. Inclusi i propri cari e i propri amici.

Non a caso, personaggi come questi nei film di Romero fanno sempre la fine peggiore di tutti: la punizione arriva. Dagli zombie, “democratici” strumenti di morte, o da altri uomini. L’importante è che il messaggio sia chiaro, inequivocabile e definitivo: l’unione fa la forza. La solidarietà, il coraggio e l’altruismo sono i valori più importanti che il cinema di Romero - anche nelle pellicole non a tema zombie, come La metà oscura o La città verrà distrutta all’alba - ci ha tramandato.

Con la visione di un uomo che ha saputo prendere il peggio e il meglio di noi, e metterlo nero su bianco nei suoi copioni. Trasformandolo poi in immagini e suoni che nessuno potrà mai dimenticare.

Ciao, Maestro. Ora puoi riposare in pace: gran parte di noi ha imparato la tua lezione.

Credits Video: Kikapress.com 

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