Rocky, la classifica dei film della saga con Sylvester Stallone

Autore: Emanuele Zambon ,

Quel picchiatore ingenuo visto bazzicare al porto con cappello, giubbotto di pelle e pallina in mano è uno sconfitto dalla vita. Il destino gli concede una chance e lui si sveglia alle 4 del mattino, infila tuta e Converse per allenarsi, ed entra di diritto nella storia del cinema.

Rocky Balboa, il pugile di origini italiane che cavalca il sogno americano sul finire degli anni '70 dopo una vita vissuta ai margini nella periferia di Philadelphia fa parte dell'immaginario collettivo. Lo stallone italiano, un po' bullo un po' tonto che ama un'insignificante commessa di un negozio di animali e si ritrova quasi per caso a sfidare il campione in carica dei pesi massimi.

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Perderà. Ma la sua sarà una sconfitta che sa di vittoria. Chi sbancherà sotto ogni punto di vista, invece, sarà Sylvester Stallone, che a metà degli anni '70 immagina, scrive e dà vita - contro il volere degli studios - al suo personaggio più iconico, quasi una sorta di alter ego. Facciamo pure senza il "quasi". Per celebrare lo stallone italiano", ecco la classifica dal peggiore al migliore dei film di Rocky, compresi i due spin-off dedicati ad Adonis Creed, figlio di Apollo impersonato con successo sul grande schermo da Michael B. Jordan.

8. Rocky V

Il punto più basso della saga. Rocky non combatte più. Troppi colpi subiti sul ring, i danni al cervello sono ingenti. Lo stallone italiano è costretto al ritiro e, come se non bastasse, scopre di essere finito sul lastrico per alcuni investimenti fatti a sua insaputa da un commercialista traffichino.

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L'ex campione, appesi i guantoni al chiodo, trova nuovi stimoli nell'allenare un giovane boxeur, Tommy Gunn, che però verrà manipolato dal viscido manager George Washington Duke e ripudierà così Rocky, dimostrandosi un ingrato. Criticato dal pubblico, il borioso Gunn provocherà il suo ex mentore in un bar, scatenando una rissa. La strada, da sempre il ring di Rocky, vedrà vittorioso lo stallone italiano.

Fiacca conclusione di una saga iniziata quasi 15 anni prima. Alcune dinamiche di racconto funzionano pure (vedi Rocky che si vede portar via i propri beni) ma è tutto un trascinarsi a stento verso un epilogo ridicolo.

7. Creed II

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Avrebbe meritato un paio di posizioni più in alto il sequel diretto da Steven Caple Jr se solo non avesse commesso l'imperdonabile errore di emarginare il vero deus ex machina della saga. La presenza di Sylvester Stallone in scena appare infatti piuttosto limitata. E se il tentativo di Creed II era quello di affrancarsi progressivamente da un universo ingombrante per celebrare una propria mitologia, rinnegare le proprie origini senza voler rinunciare a riciclare topoi (torna Ivan Drago, è vero, ma i riferimenti maggiori sono a Rocky III) fa compiere un mezzo passo falso al sequel, di sicuro muscolare e solido nella rappresentazione ma senza i guizzi del precedente. Avrebbe meritato più spazio la "carrambata" fra Balboa e Drago, tanto per fare un esempio.

6. Rocky Balboa

Il più grande merito del film è quello di essere arrivato 16 anni dopo l'ultimo capitolo di Rocky evitando di affogare nel mare del ridicolo. È vero, costrutto e messinscena sono un po' arrangiati, ma lo spirito proletario e l'approccio minimalista guardano al primo film del '76, restituendo non più il pugile glorificato bensì l'uomo in miseria degli inizi. Rocky Balboa è come la chiusura di un cerchio: dalla solitudine e dalla fame era partito, Stallone, e alla solitudine (Adriana non c'è più) e alla vita modesta ha fatto ritorno. In mezzo scorrono i ricordi, le gioie dimenticate e i dolori implacabili. Tutti insieme, l'uomo e i suoi tormenti, saliranno per un'ultima volta sul ring.

5. Rocky IV

Retorica ipertrofica. Reaganismo ai massimi livelli. Guerra Fredda combattuta coi guantoni. Rocky IV è il capitolo più "trash" della saga ma, insieme al primo, anche il più iconico e ricordato. Sarà per via di un villain colossale, reso immortale da una battuta ("Io ti spiezzo in due", a pronunciarlo è Dolph Lundgren), o per la tragica morte di Apollo sul ring subito dopo l'esibizione canora di James Brown. Lo schema narrativo, un po' sempliciotto, punta tutto sulla vendetta di un uomo dietro cui si staglia la propaganda di una nazione (quella a stelle e strisce). Forse il muro di Berlino ha iniziato a scricchiolare da qui, con "No Easy Way Out" sparata a tutto volume.

4. Rocky III

Che fare dopo due film dall'impianto narrativo simile? Il grande incontro, la rivincita e poi? Ecco allora il Rocky campione incontrastato. Firma contratti milionari con gli sponsor, manda al tappeto avversari morbidi, conserva la cintura senza troppi affanni. Però Rocky si è imborghesito (anzi, fa proprio il nababbo) e ha perduto la rabbia, la fame di successo che solo chi viene dalla strada conosce. All'orizzonte spunta un nuovo avversario, che macina vittorie e non brilla in buone maniere (il Mr. T dell'A-Team). Sfida Rocky e lo batte. Durante l'incontro muore pure l'allenatore Mickey, colto da infarto. Sipario. Buio. Il campione non c'è più. Ripartirà da zero grazie all'aiuto del vecchio rivale Apollo Creed, che gli farà da allenatore.

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La perdita come shock narrativo, l'alleanza con l'ex nemico per sconfiggere un avversario comune. Rocky III rinfresca la ricetta, si concede un momento WTF (il Labbra Tonanti di Hulk Hogan) e colpisce duro con la hit destinata a gloria eterna "Eye Of The Tiger".

3. Rocky II

Ti (ri)sfido a duello. Come nel più classico dei western, si compie "la bella". Una resa dei conti per stabilire una volta per tutte chi sia il campione dei pesi massimi. Da una parte il vincitore perdente Apollo, dall'altra lo sconfitto trionfatore Rocky.

Se da metà film in poi si assiste ad un déjà-vu (esitazioni, allenamento e incontro), è nella prima parte che Rocky II guadagna parecchi crediti, soprattutto nel mostrare l'ex celebrità del momento caduta nel dimenticatoio, umiliata da lavori ridicoli, privata dei propri sogni, sacrificati in nome dell'amore.

2. Creed - Nato per combattere

Missione impossibile: riesumare una saga finita in soffitta e dal forte puzzo di naftalina. Obiettivo insperato eppure portato a termine da Ryan Coogler, che con Creed - Nato per combattere aggiorna il mito di Rocky supervisionando il passaggio del testimone da Stallone alla star in ascesa Michael B. Jordan. La saga sul pugile di Philadelphia si colora di black, suona meno rock e più rap e racconta in maniera brillante di un bellissimo rapporto padre/figlio (o se preferite zio "vecchia roccia"/Donnie).

Irrompe anche il tema della malattia, arma letale del tempo che, per dirla con le parole di Rocky, "colpisce duro come nessun altro". Monologo di Stallone da standing ovation, riprese sul ring assai realistiche.

1. Rocky

Picchiatore al soldo di uno strozzino strappato alla strada dalla tenacia di uno scorbutico allenatore e dall'amore di un'introversa giovane. Si celebra il culto della sconfitta in Rocky, si disperano gli emarginati, vengono a galla i fallimenti esistenziali. Non si sa bene dove finisca il personaggio e inizi Stallone, una vita di stenti e delusione prima del film che lo ha reso una star.

Vederlo mandar giù 5 uova all'alba e correre per i sobborghi salutando la gente al mercato mentre si allena conserva tutt'oggi il fascino di una favola con l'happy ending. E poi ci sono il tema indimenticabile di Bill Conti, la corsa sulla scalinata, l'urlo "Adrianaaaaa" (doppiato da Gigi Proietti, che prestò la voce a Stallone solo nel primo film, venendo poi sostituito da Ferruccio Amendola). La boxe come metafora della vita, raccontata in maniera intima e genuina.

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