Rogue One: A Star Wars Story, la recensione

Autore: Emanuele Zambon ,

Le ribellioni si fondano sulla speranza. Le saghe di successo no. Occorrono talento nell'elaborare script convincenti e maestria nel saper innervare in una galassia lontana lontana tematiche di estrema attualità, consentendo a Rogue One: A Star Wars Story di percorrere strade inesplorate, illuminate a loro volta da un déjà-vu stilistico. Lo spin-off con Felicity Jones mostra il lato più "terreno" di Guerre Stellari, fatto di trincee, pallottole e attentati dinamitardi.

Il regista Gareth Edwards plasma lo spin-off di Star Wars come un reportage di guerra, realizzato dietro le linee nemiche. È ai celebri film di guerra che guarda l'autore di Monsters, tratteggiando per tutto il film schemi di battaglia, piani di estrazione e rappresaglia nemica, ricordando al pubblico come uno sci-fi sia in grado di filtrare alla perfezione gli orrori di un conflitto.

Padri & Figlie

Un incipit dal ritmo compassato mostra lo scienziato imperiale Galen Erso - lo interpreta un via via sempre più magnetico Mads Mikkelsen - alle prese con la placida vita contadina, circondato dall'affetto della moglie e della piccola "stellina" Jyn. Come il colonnello Hans Landa di Bastardi Senza Gloria, è il direttore Orson Krennic (Ben Mendelsohn) a sconvolgere la quiete della famiglia Erso, reclutando il capofamiglia Galen per ultimare un'arma di distruzione di massa: la Morte Nera.

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La piccola Jyn Erso verrà aiutata dal ribelle estremista Saw Gerrera (Forest Whitaker). Dell'adolescenza della figlia di Galen Erso viene mostrato (o detto) poco o nulla, grazie ad un montaggio che consegna una Jyn Erso (Felicity Jones) adulta e dietro le sbarre. Liberata dall'Alleanza Ribelle, la giovane viene coinvolta in una missione quasi impossibile: infiltrarsi nel quartier generale dell'Impero per trafugare i piani di costruzione della Morte Nera.

Lucasfilm/Disney
Felicity Jones e Diego Luna in una scena di Rogue One

We can be Heroes, just for one day

Rogue One: A Star Wars Story è a tutti gli effetti un war movie mascherato da sci-fi. Film di guerra, terrena e stellare, proprio come quelle che si combattono oggigiorno nelle zone più calde del nostro pianeta. Edwards e gli sceneggiatori Chris Weitz e Tony Gilroy sono stati abilissimi ad adattare scenari di guerre sante (e di profitto) onnipresenti nei telegiornali ad un film che sulla carta sarebbe di pura fantascienza.

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Uomini uccisi sul campo dal fuoco amico, tiranni che "confondono la pace con il terrore", vessilli imperiali innalzati contro la volontà del popolo, tenuto sotto scacco con la forza (oscura). Rogue One fonde bombe, fede e cuore in oltre due ore di visione, alzando costantemente il tiro e rigettando qualsiasi velleità fantasy in favore di un'aderenza alla nostra Storia che ha dell'incredibile.

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Ecco allora che la Forza diviene una fede, indissolubile e percepibile. È il guerriero non vedente Chirrut Îmwe (un grandioso Donnie Yen), devoto allo stile di vita dei Jedi, colui che per primo indirizza Jyn Erso verso un destino di speranza. "Fidati della Forza e magari riponi tale fiducia in un blaster", sembra indicare il regista di Rogue One. Lo spin-off di Guerre Stellari, dapprima origin story di un'eroina, diviene film di formazione di un manipolo di sacrificabili guerrieri, sporca dozzina in grado di centuplicare le forze, dal momento che la posta in gioco è altissima.

Lucasfilm/Disney
La sequenza della battaglia finale di Rogue One

Il ritorno del Lord

Con una Morte Nera a costituire il futuro deterrente nucleare dell'Impero, è ovvio che la guerra totale messa in scena da Gareth Edwards sia a dir poco mozzafiato. Scontri a terra o duelli aerei, fa lo stesso: la resa visiva è strepitosa, le musiche di Michael Giacchino omaggiano senza mai strafare il celebre tema di John Williams, il fattore umano nella lotta contro il tempo per salvare la galassia è fondamentale e fa di Rogue One (anche) un heist movie costruito come un congegno ad orologeria in procinto di esplodere.

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Puntualmente la deflagrazione avviene. La seconda parte della pellicola ha un ritmo forsennato che catapulta l'azione da un settore all'altro come in un un ping-pong impazzito. Poi, improvvisamente, tutto si ferma: entra in scena Darth Vader. È il climax di Rogue One, l'arma segreta (altro che Morte Nera!) che consente allo spin-off di reclamare a gran voce un posto nei cuori dei fan, vecchi e nuovi.

Ma vi è di più: alcune inquadrature rivelano una piena padronanza dello stile della saga di Guerre Stellari, mentre le scenografie trasudano poesia e non possono non far compiere allo spettatore un gesto semplice, incondizionato: spalancare la bocca.

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