Spiriti nelle tenebre: la storia vera dietro al libro e al film

Autore: Alessandro Zoppo ,

"Se volete vedere quei leoni oggi, dovete andare in America: sono nel Field Museum a Chicago. Perfino adesso, se li fisserete dritti negli occhi, avrete paura". Si chiude così Spiriti nelle tenebre, il film di Stephen Hopkins che porta sugli schermi il romanzo omonimo scritto nel 1907 dal colonnello John Henry Patterson.

La storia dietro #Spiriti nelle tenebre è incredibile ma vera. Patterson (Val Kilmer nel film) è stato davvero un ingegnere militare per la Compagnia Britannica dell'Africa Orientale, arrivato nel 1898 a Mombasa per sovrintendere ai lavori di costruzione di un ponte ferroviario lungo più di novecento chilometri sul fiume Tsavo, utile a collegare il Kenya al lago Vittoria.

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Appassionato di caccia e antropologia, il colonnello si ritrova ad affrontare non tanto le difficoltà tecniche e organizzative di questo lavoro, quanto gli attacchi feroci di due leoni: i mangiatori di uomini dello Tsavo che assalgono gli accampamenti e uno dopo l'altro mietono vittime tra gli operai.

Spiriti nelle tenebre Spiriti nelle tenebre Kenya, fine del XIX secolo. La costruzione di un ponte è funestata da morti cruente causate da alcuni leoni che, per via dei loro comportamenti inusuali, insinuano nei coloni inglesi ... Apri scheda

Il film

Spiriti nelle tenebre (in originale The Ghost and the Darkness) è stato fortemente voluto da William Goldman, sceneggiatore da Oscar per #Butch Cassidy e #Tutti gli uomini del presidente e autore dei romanzi cult La principessa sposa e Il maratoneta.

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Goldman ascolta la storia di Patterson e dei "man-eaters" di Tsavo durante un viaggio in Africa nel 1984 e la immagina come un incrocio tra #Lawrence d'Arabia e #Lo squalo. Lo sceneggiatore propone il soggetto alla Paramount, pensando a Kevin Costner e Tom Cruise come protagonisti ma poi accettando la scelta dello studio di Val Kilmer, subito entusiasta del progetto.

Alla regia arriva l'australiano Stephen Hopkins, lanciato da un paio di horror (Dangerous Game e #Nightmare 5) e sbarcato a Hollywood con #Predator 2 e #Blown Away - Follia esplosiva. La location del film è (per motivi fiscali) la riserva di Songimvelo a Mpumalanga, in Sud Africa, mentre il vero sito dov'è stato costruito il ponte ferroviario è oggi il Parco nazionale dello Tsavo, a 125 chilometri a est del Kilimangiaro e a 260 a sud-est di Nairobi.

Hopkins ha rivelato in un'intervista al Los Angeles Daily News che la lavorazione del film è stata a dir poco travagliata e funestata da numerosi incidenti.

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Abbiamo avuto morsi di serpente e scorpione, punture di zecca, persone colpite da fulmini e inseguite dagli ippopotami, alluvioni, piogge torrenziali e tempeste di fulmini, auto finite in acqua, due tecnici della troupe annegati...

Kilmer è reduce da #L'isola perduta, flop al botteghino e stroncato dalla critica. Il regista ha raccontato che arrivò in Africa "nelle peggiori condizioni immaginabili".

Era completamente esausto. Stava attraversando la pubblicità sfavorevole di quel film e il divorzio. Stava ancora studiando il personaggio, ed è praticamente in ogni scena, quando abbiamo dovuto iniziare a girare. Eppure ha lavorato sei o sette giorni alla settimana per quattro mesi in condizioni a dir poco avverse e ce l'ha fatta. Ha avuto una passione incredibile per questo film.

Paramount Pictures
Val Kilmer in una scena del film Spiriti nelle tenebre
Val Kilmer è il colonnello John Henry Patterson

Il libro

La vicenda dei mangiatori di uomini dello Tsavo aveva già ispirato diversi film degli anni Cinquanta: Men Against the Sun di Brendan J. Stafford con John Bentley e Zena Marshall, Buana Devil di Arch Oboler con Robert Stack, Ombre sul Kilimanjaro di Richard Thorpe con Robert Taylor.

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Alla base di Spiriti nelle tenebre c'è il diario romanzato di John Henry Patterson, soldato, cacciatore e ingegnere irlandese nato nel 1867, entrato a 17 anni nell'esercito e diventato poco dopo comandante della Legione Ebraica. Patterson fu davvero assegnato alla supervisione dei lavori ferroviari in Kenya dalla Compagnia dell'Africa Orientale e ha raccolto nei suoi scritti i racconti di caccia, la sfida avventurosa della costruzione della ferrovia e l'incontro con le due belve considerate alla stregua di creature demoniache.

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Il suo libro è pubblicato in Italia da Luni Editrice nella traduzione di Andrea Amato ed è una preziosa testimonianza del colonialismo britannico di fine Ottocento.

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Il libro di John Henry Patterson

Dopo l'esperienza in Kenya, Patterson è nominato sovrintendente alle riserve di caccia dell'Africa Orientale Britannica dal segretario coloniale Lord Elgin, un'esperienza che ripercorre nel suo secondo libro In the Grip of Nyika, inedito in Italia. Tornato in Inghilterra alla fine del 1909, il colonnello è travolto da uno scandalo pubblico: la morte di Audley Blyth, il figlio del baronetto Sir James, durante un safari al quale hanno partecipato Patterson, Blyth e la moglie Ethel. Un colpo è partito durante un'azione di caccia – non è chiaro da quale fucile – e ha colpito a morte il giovane Blyth. Le voci di una relazione clandestina tra Patterson e Ethel si rincorrono. Questa storia ispira a Ernest Hemingway il racconto La breve vita felice di Francis Macomber, diventato il film Passione selvaggia con Gregory Peck, Joan Bennett e Robert Preston.

Patterson ripulisce la sua immagine pubblica servendo l'Impero nella Seconda guerra boera, comandando il reggimento West Belfast durante la crisi tra Gran Bretagna e Irlanda e combattendo nella Prima guerra mondiale con il grado di tenente colonnello. In quegli anni è a capo della Legione Ebraica, contrasta il diffuso antisemitismo (a quest'esperienza dedica i libri With the Zionists at Gallipoli e With the Judaeans in the Palestine Campaign) e diventa un discusso sostenitore del sionismo. Patterson si ritira dall'esercito nel 1920 e muore nel 1947 all'età di 79 anni nella sua casa di La Jolla, in California, accanto alla moglie Francie Helena Gray e al figlio Bryan.

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La storia vera: i mangiatori di uomini dello Tsavo

Charles Remington, l'esperto cacciatore statunitense chiamato a stanare i leoni con la sua squadra di Masai, non esiste. Il personaggio interpretato da Michael Douglas (ma i produttori volevano uno tra Sean Connery, Anthony Hopkins e Gérard Depardieu) è immaginario: si ispira alla figura di Charles H. Ryall, un ex militare inglese della British Army in India, diventato una personalità leggendaria come cacciatore di tigri e assegnato al comando in Kenya con il ruolo di sovrintendente della neonata forza di polizia.

Nel 1899 Ryall tenta l'impossibile: uccidere il famigerato "Kima Killer", un leone che aveva scalato i tetti delle stazioni per colpire gli umani all'interno. Il capitano Ryall finisce ammazzato dal "man-eater" come Remington nel film: nel suo caso, guidando una spedizione composta da un commerciante tedesco, Hans Huebner, e da un imprenditore italiano di nome Parenti. È una calda notte di giugno del 1900 e i tre aspettano i leoni nel vagone di un treno, fucili spianati. Ma si addormentano con i finestrini aperti e il grande felino fa irruzione: afferra Ryall per il collo e lo trascina nella boscaglia. Il suo corpo dilaniato viene recuperato la mattina seguente. I suoi resti sono tuttora sepolti in un cimitero a Nairobi, mentre alla stazione di Kima è ancora esposto il "treno dell'orrore".

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Ma quanto erano letali i mangiatori di uomini dello Tsavo e quanti uomini hanno effettivamente sbranato? Patterson ha romanzato la sua storia, gonfiando i numeri: il colonnello parla di 135 uccisioni in nove mesi. Uno studio del 2009 dei ricercatori Tom Gnoske e Julian Kerbis, che hanno analizzato i livelli di collagene delle ossa e di cheratina dei peli, fornisce un numero più veritiero tra le 28 e le 35 vittime, circa una a settimana.

Quel che è vero è che fu Patterson a ucciderli entrambi, il primo il 9 dicembre 1898 e il secondo tre settimane dopo. Nel 1924 il colonnello vendette le pelli dei leoni al museo di storia naturale Field di Chicago, che le ha usate per la ricostruzione degli animali imbalsamati, tuttora visitabili ed esposti in un diorama. Nel museo, in un'altra area, c'è anche un terzo mangiatore di uomini: un leone apparso a Mfuwe, nello Zambia, che nel 1991 ha divorato sei persone.

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Nel corso degli anni, diverse teorie hanno ipotizzato cos'abbia davvero motivato gli attacchi di questi leoni maschi e senza criniera. Le prime ipotesi hanno preso in considerazione un'epidemia di peste bovina che all'epoca decimò il numero di zebù e bufali, prede naturali dei felini. Quando la popolazione locale fu colpita dal vaiolo e il traffico degli schiavi, ammassati nelle carovane dei mercanti arabi, fece aumentare la disponibilità di cadaveri, i leoni cominciarono a familiarizzare col sapore della carne umana.

Questa tesi è stata smentita da una ricerca, pubblicata nel 2017 su Scientific Reports. La causa degli attacchi è il mal di denti. I due animali soffrivano tremendamente: uno aveva un ascesso nel canino inferiore e tre incisivi spezzati; l'altro una ferita a un dente e una nella mascella. Il leone dello Zambia aveva invece una mandibola fratturata. Fu per questo motivo che si avventarono sulla carne umana, più tenera e facile da masticare rispetto a quella fibrosa di bufali, zebre, giraffe e antilopi.

La ricerca di Larisa R. G. DeSantis e Bruce D. Patterson, paleontologi dell'Università di Vanderbilt a Nashville, sottolinea come i "pasti" a base di operai della ferrovia sul fiume Tsavo fossero arrivati a rappresentare il 30% della dieta dei felini. I due leoni si nutrivano delle carni molli e non sgranocchiavano le ossa. Usando una tecnologia all'avanguardia per studiare i loro crani, DeSantis ha scoperto che i modelli di usura sui loro denti somigliavano a quelli dei leoni dello zoo, nutriti a ovini ed equini. La ricerca continua ancora oggi, ma alimentare il mito dei "padroni della notte" che "uccidevano in fretta, senza paura e senza ragione" resta sicuramente più affascinante.

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