“State of the Union”: il piccolo capolavoro in cui non succede nulla

Autore: Simone Rausi ,

Ci sono serie destinate a fare una piccola rivoluzione, a lasciare il segno. Una di queste è State of the Union, arrivata in Italia con il bruttissimo titolo Lo stato dell’Unione. Un formato inedito (dieci minuti a puntata), la totale assenza di cambi di scena e la presenza di soli due personaggi, enormi, a tenere in piedi un’intera produzione. Boom: la serie esplode nel mondo, vince tre Emmy, diventa un caso studio nei corsi di cinema e si perde, in Italia, nei palinsesti di una rete minore, La F, a cui va il merito di provare a dare spazio a produzioni di qualità che definire di nicchia sarebbe ingiusto. Perché nonostante l’impostazione che sembra ricordare le pièce teatrali, State of the Union è inequivocabilmente pop e ha tutto il potenziale per piacere a molti, se non a tutti.

Di cosa parla

La storia è quella di una coppia in crisi e della loro terapia coniugale che prova, in ogni modo, a far superare loro un tradimento e a riaccendere la passione. L’elemento che fa la differenza è che la terapia dei due non si vede mai. Tutte le puntate sono ambientate in un pub, nei dieci minuti che precedono l’incontro con la terapeuta, quando i due protagonisti si incontrano per prepararsi. Bicchiere di vino per lei, birra per lui, un occhio all’orologio e uno allo studio della psicologa, che si vede dalla finestra. 

I dialoghi e gli attori sono tutto

Louise e Tom provano a fare pace, litigano, parlano di sesso, dei figli, persino della Brexit. Empatizzano per la coppia che li precede e che dopo la terapia di coppia fa tappa nel loro stesso bar. Ma è solo un contorno perché al centro ci sono sempre i due protagonisti e le loro parole affilatissime, ironiche, profonde, semplici e complesse allo stesso tempo. Così, in dieci minuti, si sorride, ci si arrabbia, a volte ci si commuove. Li si ama, li si odia, si fa il tifo per loro. Li osserviamo mentre fanno scelte assurde o grottesche. E il merito, oltre che dei dialoghi, è tutto dei due attori che li pronunciano. Chris O’Dowd, a suo agio nelle commedie, e Rosamunde Pike, solitamente memorabile solo nei ruoli da cattivissima. Bravi, bravissimi. E questo a volte non solo basta, ma avanza pure. Perché Lo Stato dell’Unione è fruibile come un video su Youtube e ha lo spessore di un romanzo (da cui tra l’altro è tratto), è godibile come una serie ma ha atmosfere da teatro.

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Il tempo e la “rivoluzione fallita”

Trasmessa da Sundance TV e da BBC, la serie nasce con episodi da 10 minuti. Una tendenza che, qualche tempo fa, sembrava voler creare nuovi format perfetti da godere mentre si andava a lavoro, in metropolitana. La serialità che rincorre i social, il cinema che strizza l’occhio alle Instagram Stories. Tutto giustissimo, strategicamente parlando, ma non nei fatti. Quibi, ad esempio, la piattaforma che doveva fare la rivoluzione e che, con l’appoggio di finanziatori come Walt Disney, si prefissava l’obiettivo di proporre solo serie da 10 minuti, è fallita in sei mesi. In Italia, la serie, è andata in onda su La F (canale 135 di Sky) in una maxiserata ed è disponibile su On Demand in due puntate composte da più episodi ciascuno. Un peccato perché una delle particolarità di State of The Union è che il tempo della storia coincide davvero con quello reale. Dieci minuti intensi, ma solo dieci, per i personaggi e per gli spettatori. Dieci minuti che valgono molto di più. 

Commento

cpop.it

80

Due attori in stato di grazia e dialoghi da far scuola. Non serve nient'altro, in dieci minuti, per creare un prodotto destinato a far parlare di sé e di cui non si parla abbastanza.

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