Stefan Zweig Farewell to Europe, la recensione in anteprima da Locarno

Autore: Elisa Giudici ,

All'apice della sua carriera, Stefan Zweig era uno degli uomini europei più celebri al mondo, la cui fama rivaleggiava con capi di stato e autorità religiose. Sventuratamente, non gli era più concesso sfruttarla in Europa e tanto meno in Austria, il suo Paese natale. Dopo aver assistito in gioventù al dissolversi dell'impero austroungarico e averlo trasfigurato in alcune delle opere letterarie più celebri del Novecento, a Stefan Zweig non venne risparmiato nemmeno il dolore di perdere la sua nuova patria acquisita, il Regno Unito, a causa dell'ascesa in tutta Europa del nazismo e dell'inizio delle persecuzioni antisemite. 

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Stefan Zweig Farewell to Europe, la recensione
La locandiana internazionale del film Stefan Zweig Farewell to Europe

Presentato in Piazza Grande durante l'ultima edizione del Festival di Locarno, Stefan Zweig: Farewell to Europe (Vor der Morgenröte) è il biopic su uno degli autori più canonici e (a tutt'oggi) osannati del Novecento che davvero non ti aspetteresti di vedere. Scritto e diretto dalla tedesca Maria Schrader su consiglio di un produttore francese rimasto ammaliato dai suoi precedenti lavori, Vor der Morgenröte è la quintessenza di cosa significhi girare film biografici nel Nuovo Millennio.

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Non mi riferisco solo all'usanza ormai consolidata di raccontare una biografia concentrandosi su un evento singolo o su un lasso di tempo piuttosto breve, al posto della canonica narrazione dalla nascita alla morte. In questo senso Schrader sembra aver fatto sua da subito la lezione dell'ultimo decennio del genere biografico, concentrandosi esclusivamente sugli ultimi anni di vista di Zweig. Esule nelle Americhe, lo scrittore trascorse gli ultimi anni della sua vita tra i paesi sudamericani e New York (dove abitavano le figlie e la sua ex moglie, interpretata dalla celebre attrice teutonica Barbara Sukowa), sempre accompagnato alla giovane seconda moglie Lotte (Aenne Schwarz). 

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La recensione del biopic su Stefan Zweig Farewell to Europe
L'iconica scena di apertura di Stefan Zweig Farewell to Europe

La sensibilità di sceneggiatrice e regista di Maria Schrader, celebre per la bellezza cromatica e naturalistica che cesella nelle storie dei suoi personaggi, si spinge fino a un approccio postmoderno al personaggio. Il film, diviso in capitoli non ha una trama lineare, ma si presenta come una sorta di galleria di grandi affreschi che ritraggono scene collettive e familiari con al centro lo scrittore austriaco. Non sempre gli episodi hanno particolare rivelanza storica o personale nella vita di Zweig, ma riescono a cogliere le numerose sfumature dell'uomo e dello scrittore dietro la leggenda. 

Grazie alla convincente interpretazione di Josef Hader, seguendo Zweig per poco più di 2 ore tra cene ufficiali in suo onore e compleanni festeggiati in casa, ne cogliamo il notevole spettro emotivo: la sua vita è quella dell'esule privilegiato, trattato con riguardo e rispetto dalle autorità e già fortunato ad essere riuscito a salvare sé stesso e la propria famiglia. Consapevole della sua enorme fortuna, lo scrittore può anche godere della sua fama, dell'amore della sua famiglia e delle piccole gioie quotidiane come giocare con il proprio cane o esplorare l'incredibile panorama sudamericano. 

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Josef Hader interpreta Stefan Zweig
Josef Hader è Stefan Zweig

Il film però ci restituisce un ritratto di un uomo per lo più malinconico, talvolta profondamente triste, ma mai rassegnato. A più riprese Zweig si ritrova quietamente disperato di fronte all'incapacità di rispondere alla mole di richieste di soccorso che lo hanno inseguito dall'Europa in America e provenienti dalla comunità ebraica di cui fa parte. L'aspetto più interessante è forse la scelta controversa ma sicuramente personale dell'autore di non scagliarsi contro il suo Paese natale, di non prendere posizione apertamente contro l'influenza tedesca, nell'incapacità di ripudiare davvero e per sempre la propria patria. 

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Diversamente da quanto potrebbe suggerire questa descrizione, nei suoi momenti meno dinamici Vor der Morgenröte è forse poco incisivo, ma mai apertamente noioso. Anzi, oltre a usufruire con grande saggezza di una produzione davvero stupefacente per risultati finali, il film rimane decisamente fruibile per il grande pubblico interessato a scoprire qualcosa della vita dell'artista, pur non rinunciando alle sue ambizioni artistiche e al suo stile davvero iper-contemporaneo. 
Il merito va per la gran parte a Maria Schrader, capace di mantenere un tocco lieve anche quando alla ricerca della bellezza formale ed estetica delle immagini: i tableau più riusciti sono le composizioni delle 2 lunghe scene che aprono e chiudono il film, che ci ricordano appieno le potenzialità narrative della dimensione visiva del cinema, troppo spesso dimenticate dal produzione più popolare. 

Insomma, grazie a Stefan Zweig: Farewell to Europe la Germania si ritrova per le mani un'ottima carta da giocare nella corsa all'Oscar del miglior film in lingua straniera: un film riuscito ma comunque molto accessibile, un personaggio molto noto, interpretazioni e produzione eccellenti e le persecuzioni naziste, una tematica che costituisce un vero e proprio soft spot per la platea dell'Academy. 

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