The Front Runner: Il vizio del potere, la recensione: Hugh Jackman vuole fare sul serio

Autore: Elisa Giudici ,

È luogo comune o solida realtà che a 50 anni scattino dubbi e crisi di mezza età? Lo spartiacque del mezzo secolo d'età e della vecchiaia (pardon, maturità) incombente spaventa anche nel 2019, quando l'aspettativa di vita ti autorizza a sperare di essere arrivato solo a poco più di metà strada. È l'età giusta per i primi addii e per nuove sfide, o almeno deve pensarla così Hugh Jackman. A differenza delle sue colleghe (vedi il recente Gloria di Julianne Moore e Copia Originale con Melissa McCarthy) non deve preoccuparsi troppo per trovare ruoli da protagonista. Se sei uomo e se sei bianco, Hollywood è ricca di opportunità anche a 50 e 60 anni. Clint Eastwood si è appena confezionato un film su misura pur avendo superato i 90 anni. 

Eppure dietro a The Front Runner: Il vizio del potere è chiaramente percepibile, a dire il vero a malapena mal celato, un profondo senso d'inquietudine e d'insoddisfazione da parte di uno dei primi interpreti che hanno costruito la loro carriera sul connubio con un supereroe.

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Hugh Jackman in The Front Runner
Politico visionario o uomo manipolatore? The Front Runner sembra avere una risposta definitiva su Hart

Dopo aver dato l'addio più o meno definitivo a Wolverine - ruolo iconico che è cresciuto e maturato intorno all'attore, garantendogli fama internazionale - e la parentesi poco amata dalla critica ma fortunatissima al botteghino di The Greatest Showman, è chiaro che a Jackman non basta rimanere un beniamino del pubblico. No, perchè The Front Runner: Il vizio del potere va chiaramente a caccia di un posto al sole per l'attore australiano. Sotto il sole dorato degli Oscar 2020. 

Il confine tra pubblico e privato

Gary Hart era così predestinato a diventare presidente degli Stati Uniti che è stato spazzato via dall'orizzonte politico americano dal più classico degli scandali; quello a sfondo sessuale. Questo però avviene nel 1988, a tre settimane dalle primarie del partito democratico, cancellando un approdo che appariva certo alla Casa Bianca. La corsa alle primarie in questo caso vale la presidenza: anche se i democratici sono allo sbando, con un figura solida e moralmente integerrima come Hart non avranno problemi a sbaragliare la concorrenza repubblicana di Bush. 

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Dopo aver fallito la corsa alla candidatura da "giovane promessa" nel 1984, Gary Hart (Hugh Jackman) è il favorito assoluto nella corsa alla vittoria, il corridore di testa, il front runner. Tre settimane lo separano dalle elezioni, il suo team è riunito, la stampa e la gente sembrano apprezzarlo. Infatti il suo è un talento politico raro, capace di essere incisivo nei discorsi, fotogenico in TV, carismatico nei confronti con gli avversari, ma soprattutto concreto nella propria visione e passione politica. 

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Hugh Jackman arrabbiato in una scena di The Front Runner
Un presidente ha diritto alla sua privacy?

Durante un'intervista con il giovane inviato del The Washington Post (interpretato da Mamoudou Athie), il candidato mostra tutta la sua reticenza a parlare del suo privato, del suo matrimonio e della sua famiglia. Uomo tutto d'un pezzo dell'Ovest, è fermamente convinto che gli elettori non debbano mettere becco nella sua vita privata, tanto da invitare i giornalisti a pedinarlo, per scoprire quanto sia noiosa la sua vita. 

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Nel frattempo un reporter politico di secondo livello dell'area di Miami viene contattato da una donna che sostiene che Hart abbia una relazione extra coniugale con una giovane donna. Appostatosi davanti a casa del candidato, il giornalista assiste e fotografa una scena che pare parecchioequivocabile, senza però avere prove certe del tradimento. Tanto basta però scatenare un dibattito spaventoso e un cambiamento epocale negli Stati Uniti, decisi a strappare il diritto alla riservatezza ai candidati alla presidenza. 

Ambiguità di comodo

È sin troppo facile paragonare The Front Runner: Il vizio del potere con il suo protagonista Gary Hart, eppure è difficile non accomunare la loro capacità di svicolare dal dover dare una risposta precisa, magari in maniera brillante, senza però convincere fino in fondo lo spettatore. L'intento del Jason Reitman (The Terminale, Thank you for smoking, Tully) è quello di restituire un ritratto volutamente irrisolto di un uomo, di uno scenario politico e di una stampa di altri tempi: quelli in cui era considerato ancora in forse se la vita del candidato politico di turno potesse essere oggetto dell'attenzione del pubblico. 

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Accompagnato da uno stile rigoroso, poco invasivo e quasi privo di musica alla Altman, con riprese virtuose il film descrive la vita gomito a gomito di candidati e giornalisti, in perenne conflitto etico. Infatti The Front Runner prende la sua storia di partenza per interrogarsi su una questione etica e umana che investe non solo la politica, ma anche il giornalismo degli anni '80; quel momento in cui la sacralità della politica va in pezzi e i suoi protagonisti diventano simili a stelle del cinema o dello spettacolo. Lo fa evidenziando come scelte cruciali per lo scoppio dello scandalo vengano prese da persone talvolta malintenzionate, altre volte desiderose solo d'informare il pubblico, spesso costrette a porre una domanda giusta nel momento più sbagliato possibile. 

La regia è sapiente e talvolta brillante - pescando a piene mani da convenzioni stilistiche che partono da Tutti gli uomini del presidente fino ad approdare a Il caso Spotlight - il personaggio al centro del film è intrigante nel eterno dubbio che lo accompagna, eppure il film non funziona mai davvero. Il perenne interrogativo è chi sia Hart veramente. È l'uomo tutto d'un pezzo che lancia asce alle sagre di paese e con la stessa tranquilla possenza annienta gli avversari ai comizi o è un abile manipolatore, un womanizer che tradisce la moglie approfittando della sua posizione di potere? Soprattutto, l'essere un potenziale fedifrago fa di lui un potenziale cattivo presidente? Vedendo la ricostruzione del film si ha la netta impressione che a condannarlo, più che la scappatella in sé, sia stata l'arroganza con cui Hart si è rifiutato di gestire la crisi, di ammettere che la cosa privata nel 1988 era già divenuta cosa pubblica, dibattito da tabloid. 

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Hugh Jackman in un scena di The Front Runner
Hugh Jackman cerca un ruolo drammatico che non ne mette in evidenza le migliori qualità

Il problema è che, pur sforzandosi, il film lascia trapelare chiaramente da che parte stia; quella di Hart. Di fatto The Front Runner: Il vizio del potere è un film che ruota tutto attorno al protagonista, lasciando al resto dei personaggi e dei loro dilemmi etici (altrettanto validi) il ruolo di meri coadiuvatori al suo dramma, finendo per mettere in un angolo anche le sparute figure femminili che potrebbero e dovrebbero essere centrali nella storia. Lo fa per mettere sotto i riflettori Hugh Jackman, innegabilmente capace di dare al suo personaggio la complessità e l'ambiguità necessaria al film. L'amaro responso è però che non è abbastanza bravo da non risultare impostato, troppo impegnato, lontanissimo dalla spontaneità trascinante che lo ha reso icona del cinema popolare. 

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Deve essere dura per Hugh Jackman sentire la mancanza di un plauso critico, andare agli Oscar nei panni di strepitoso presentatore, così come deve essere difficile per Jason Reitman accettare di essere "solo" un bravo regista e non un fuoriclasse. Forse il risultato più memorabile del film è quanto sia difficile per due figure maschili hollywoodiane scendere a patti con la propria stellare "mediocrità". 

The Front Runner: Il vizio del potere sarà nelle sale a partire dal 21 febbraio 2019.

Commento

cpop.it

60

Lasciato il ruolo di Wolverine, Hugh Jackman cerca il riscatto come attore drammatico ma, pur essendo tagliato su misura per lui, The Front Runner non è mai incisivo quanto spera di essere.

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