Toni Servillo, il trasformista del cinema italiano, da Il divo a 5 è il numero perfetto

Autore: Emanuele Zambon ,

“Il fatto di essere diventato famoso in tarda età, oltre i 40 anni, significa avere avuto il tempo di sviluppare una forma di antidoto verso la celebrità comunemente intesa. Ho potuto fare i conti con la parte peggiore di me, quella più giovane, quella piena di grilli per la testa. Quando, poi, è arrivata la fama, ero immune. Credo che diventare famosi da giovani sia una delle disgrazie più grandi che possano capitare”.

Quattro David di Donatello. Altrettanti Nastri d'argento. Tre Ciak d'Oro, due Globi d'oro. Vincitore di due European Film Award e il Marc'Aurelio d'Argento per il miglior attore ricevuto al Festival internazionale del film di Roma. Per Toni Servillo il cinema è questione di numeri, unita di misura di un talento irreprensibile, riconosciuto in modo unanime da critica e pubblico (solo) con l'avvento di una maturità insieme artistica e anagrafica dell'attore.

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Il teatro come primo (e per certi versi unico) amore, consumato tra Molière, Goldoni e De Filippo. Poi, traghettato dallo stesso regista con cui aveva condiviso il palcoscenico (Mario Martone), l'approdo su quel grande schermo che a breve lo vedrà - il film è 5 è il numero perfetto, diretto da Igort - nei panni di un sicario in pensione costretto dagli eventi a tornare in attività.

Di lui si è detto tanto, e spesso bene: istrionico, camaleontico, puntiglioso (ne sanno qualcosa alcuni sbadati spettatori dei suoi spettacoli a teatro). Servillo fa sembrare semplice il difficile, dona naturalezza e nonchalance a gesti la cui natura va invece ricercata nel maniacale, nel complesso, nella tendenza ossessiva alla perfezione.

Sul grande schermo esordisce. barbuto, proprio con Martone. È il '92 e l'attore nato ad Afragola nel '59 impersona in Morte di un matematico napoletano un amico del protagonista - un grande Carlo Cecchi nei panni del tormentato accademico Renato Caccioppoli - che sta per sposarsi. Nel film il personaggio di Servillo, in una delle sue battute, dice di essere interessato ai film in grado di stimolare un qualche tipo di riflessione piuttosto che a Buster Keaton; per tutta risposta si sente replicare che il comico è superiore al tragico. Per la carriera di Servillo si rivelerà vero il contrario, essendo com'è improntata sul dramma.

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Irrompe sul grande schermo da seduto al tavolino di una trattoria al fianco di quell' Andrea Renzi che poi ritroverà in Teatro di guerra (sempre per la regia di Martone) e, soprattutto, nell'esordio da regista di Paolo Sorrentino, L'uomo in più.

Sarà proprio il regista premio Oscar a dargli grande notorietà, confezionandogli ad hoc prima il ruolo di un cantante sul viale del tramonto (Tony Pisapia, omonimo nella Napoli anni '80 di una stella, altrettanto cadente, del calcio) e poi quello di un prestanome della mafia in esilio in Svizzera. Il film, pluripremiato, è Le conseguenze dell'amore.

Medusa Distribuzione
Toni Servillo nella scena finale de Le conseguenze dell'amore

Le performance di Servillo rubano l'occhio, stimolano il plauso e gli elogi della critica. La carriera, di conseguenza (questa sì, a buon fine, diversamente dal film), è tutto un crescendo di ruoli e riconoscimenti: passa per noir stritolanti (La ragazza del lago), affreschi malavitosi (Gomorra ma anche Una vita tranquilla), revival felliniani (la mastodontica allegoria de La grande bellezza) e biopic su statisti nostrani dalle molte ombre (Il divo un paio di spanne sopra Loro).

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Il fil rouge del percorso artistico di Servillo va ricercato nella sua abilità metamorfica, nel suo continuo allontanarsi dalla comfort zone alla ricerca di ruoli complessi in cui le sfumature ammiccano all'ambiguo. Personalità discusse (e discutibili) e figure borderline con cui instaurare un feeling, imitazione con una certa disinvoltura di accenti e modi di fare, stravolgimenti facciali fino ad un attimo prima impensabili (difficile, prima di vedere il film, pensare a Servillo come al "divo Giulio Andreotti").

Per celebrare un artista dallo spessore internazionale, ecco alcune delle sue migliori interpretazioni (anche metamorfiche) in attesa di vederlo, in 5 è il numero perfetto, nei panni del guappo Peppino Lo Cicero, deciso a vendicare l'assassinio di suo figlio in una Napoli anni '70:

L'uomo in più

Lo vediamo su un palco, circondato dal fumo e dal puzzo di una sigaretta che da performer consumato tiene in una mano mentre si esibisce. Ne L'uomo in più Servillo è un viveur, cocainomane (stronzo, aggiunge la madre) accusato di violenza carnale nei confronti di una minorenne. Pur prosciolto dalle accuse, la macchia del fantomatico stupro gli pregiudicherà la carriera di cantante.

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Il ritratto di Tony Pisapia, nel bellissimo film di Sorrentino, è quello di un uomo votato all'autodistruzione, convinto che "la vita è 'na strunzata". Una parabola sul viale del tramonto di un egoista cinico che vive di ricordi e che dietro quella cortina da sbruffone nasconde il dolore per un fratello morto.

Le conseguenze dell'amore

Titta Di Girolamo vive in un anonimo albergo di Lugano. Soffre di insonnia e della lontananza forzata dalla famiglia. Si fa di eroina. Soprattutto, ricicla il denaro sporco della mafia, depositandolo a suo nome su un conto bancario. Scoprirà un nuovo amore e si ribellerà a Cosa Nostra, finendo in un pilone di cemento. 

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Servillo è con Le conseguenze dell'amore ad uno dei suoi acuti nei panni di un uomo impassibile a cui "è stata rubata la vita" e che nasconde segreti incofessabili dietro una poker face superlativa.

Il divo

Combatte contro atroci mal di testa a suon di aspirine. Forse perché i segreti da custodire sono tanti, troppi. Servillo è irriconoscibile nei panni del "divo Giulio", il controverso leader della DC che, guerre puniche a parte, è stato accusato di tutto in Italia. L'Andreotti visto da Sorrentino possiede senso dell'umorismo (proprio come nella realtà) e un grande archivio che fa da deterrente per rivali, faccendieri e cupole.

Magistrale interpretazione che poggia su silenzi, tic e movenze dello statista italiano, la cui figura ne esce con le ossa rotte. Altro che perseguitato, per il regista partenopeo Andreotti è uno dei grandi burattinai dell'Italia dei misteri, tra P2, mafia e stragi.

Loro

Universal Pictures
Toni Servillo è Berlusconi in Loro

È un Servillo dal sorriso tutto denti, quello di Loro, che racconta barzellette sulle differenze tra comunismo e cristianesimo. Maschera deformata di Berlusconi in un film, non esattamente riuscito, che mescola pubblico e privato nel segno del patetico. In un tripudio di corpi femminili mezzi nudi, a spiccare è il cavaliere di Servillo, qui alle prese con accenti milanesi e libido.

La grande bellezza

Giacche dai colori pop, fascino maturo, sguardo disincantato: il giornalista Jep Gambardella somiglia molto poco ai suoi colleghi. Sembra aver colto - se mei ce ne fosse uno - il significato della vita, a cui guarda con fare disilluso e un tantino snob, paraventi di una sensibilità e analisi critica fuori del comune.

Ne La grande bellezza Servillo gigioneggia, si muove sicuro dinanzi alla macchina da presa, soppesa attentamente prima di proferire parola, prendendosi il vantaggio della riflessione (e lo fa, meravigliosamente, nell'incomparabile monologo su sacrificio e vocazione civile). È allegoria perfetta di una noia esistenziale che si trascina per una metropoli decadente.

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