The War - Il pianeta delle scimmie, la recensione: il blockbuster è d'autore

Autore: Emanuele Zambon ,

Sorriderà Francis Ford Coppola. In questo 2017 sono già due i titoli che citano apertamente la sua conturbante e mefistofelica opera di guerra, Apocalypse Now. Se già in Kong: Skull Island gli echi dark del film con Marlon Brando erano rintracciabili nella follia assassina del personaggio di Samuel L. Jackson, in The War - Il Pianeta delle Scimmie l'omaggio sale addirittura di tono grazie ad un Woody Harrelson che per fisionomia, gestualità e sguardo allucinato ricorda da vicino un personaggio dal cuore di tenebra quale il colonnello Kurtz.

Il film diretto da Matt Revees, a dispetto del titolo, è più vicino ai canovacci del revenge movie. La guerra, che pure impazza per tutta la durata del film, è il pretesto per raccontare una storia di sofferenza e desiderio di libertà, con il regista bravo ad innestare alcune significative questioni antropologiche, mescolando solennità biblica e rimandi al western, spirito di vendetta e sprazzi di cinema anni '70.

Cuore di tenebra

Sono passati circa 5 anni dagli eventi narrati in Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie. La morte del rancoroso bonobo Koba (Toby Kebbell) non ha scongiurato l'insanabile frattura venutasi a creare tra umani e scimmie, con i primi decimati dal virus ALZ-113 e le seconde rifugiatesi all'interno della foresta.

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Il plotone Alpha-Omega, agli ordini di colui che viene chiamato Il Colonnello (Harrelson), attacca la postazione delle scimmie, decimando la comunità. Con gli accordi uomo/scimmia ormai un lontano ricordo, è chiaro per il leader Cesare (Andy Serkis) che il tempo della tolleranza è finito. Accecato dalla vendetta, mediterà di uccidere il Colonnello, muovendo per stanarlo assieme ai fedeli compagni Rocket (Terry Notary), Maurice (Karin Konoval) e Luca (Michael Adamthwaite).

20th Century Fox
Woody Harrelson in una scena di The War - Il pianeta delle scimmie

Con un duplice livello di lettura del conflitto (quella interiore del protagonista Cesare e le drammatiche schermaglie sul campo), The War - Il pianeta delle scimmie si rivela un blockbuster autoriale e ambizioso, con un prologo dal ritmo compassato e una seconda parte decisamente più vivace.

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Nel corso dei 142 minuti di durata della pellicola vengono sviscerati alcuni temi che fanno impallidire per la somiglianza con le questioni che affliggono la nostra società. Odio razziale, guerra santa, accoglienza: la logica del film di fantascienza cede il passo ad un dramma realistico dal grande impatto emotivo.

Se alcune sequenze e soluzioni stilistiche, a partire dalla guerriglia nella giungla e dalle scritte "Monkey Killer" sugli elmetti dei soldati, sono fortemente debitorie ad un sottogenere del war movie - ovvero i film sul conflitto vietnamita - The War - Il pianeta delle scimmie assume i contorni di un epico western crepuscolare (a là The Revenant - Redivivo) in cui un manipolo di scimmie galoppa verso il nemico da sconfiggere.

Il tutto non si riduce però ad una contrapposizione schematica "buoni vs cattivi", perché Reeves sfuma piccola e grande Storia in modo che le questioni personali vengano avviluppate in quelle di due razze in lotta.

20th Century Fox
Cesare in guerra in una scena del film

Ape-pocalypse Now

E, in mezzo a slogan cinefili ("Ape-pocalypse Now; "The Great Esc-Ape") e new entry dalla funzione di comic relief (la Bad Ape di Steve Zahn), ad emergere è il talento cristallino di Andy Serkis, capace di cospargere di umanità il volto di Cesare in maniera sbalorditiva. I progressi della CGI hanno raggiunto in The War - Il pianeta delle scimmie livelli mai visti prima: una definizione sorprendente, che consente allo spettatore di osservare un'infinità di particolari e chiedersi se sia ancora il caso di parlare (solo) di motion capture.

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Il terzo capitolo della saga reboot rovescia infine un luogo comune: lì dove Michael Bay col suo Transformers: L'ultimo Cavaliere esalta le potenzialità pirotecniche di un genere, The War - Il pianeta delle scimmie ne rinnega l'appartenenza, proponendosi come un film di frontiera forgiato su sguardi, emotività e parole non dette, dimostrando come il silenzio in un blockbuster possa far rumore al pari di un'esplosione. Cinema di eversione, più che d'evasione.

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